La storia del giornalista, abusivo come era definito da tutti, Giancarlo Siani di Torre Annunziata, barbaramente ucciso dalla camorra a causa di una sua inchiesta dedicata agli appalti truccati per la ricostruzione delle abitazioni dei terremotati dell’Irpinia.
Nel “dopo Gomorra” Risi crea una pellicola che desidera toccare le medesime corde morali del pubblico. Una pellicola che è stata premiata ma non troppo. Vista ma non osannata almeno non quanto il film a episodi tratto dal bestseller di Roberto Saviano. Sfruttando quindi un inevitabile effetto rimorchio e traendo spunto e titolo da una battuta dello stesso Siani, che a pochi mesi dal suo omicidio definì, dalle colonne del Mattino: “Fortapasc” il paese di Torre Annunziata, da sempre in mano alla camorra e nel bel mezzo di una guerra fra bande rivali. Da questa breve definizione il regista, con l’aiuto di Carrington e Purgatori, permette a Libero De Rienzo, più noto per parti decisamente più leggere, su tutte Santa Maradona, di dare sfogo alle parole alle vicende di un giornalista che ancora giornalista non era, Siani divenne praticante presso il Mattino di Napoli solamente pochi mesi prima di essere assassinato di fronte alla sua abitazione.
La somiglianza fra i due alla fine diviene più ideale che fisica. Siani e De Rienzo divengono una persona sola. Entrambi ragazzi poco più che ventenni. Entrambi, almeno nella finzione scenica, che cullano il sogno di poter lavorare come giornalisti, senza però smarrire l’innocenza della loro giovinezza fatta di amicizia e amore e cercando comunque di svolgere la professione del reporter parlando anche di argomenti scomodi, soprattutto in luoghi ove solitamente si paga a caro prezzo l’audacia di certe scelte professionali. Ove l’essere “giornalisti – giornalisti”, e non banali impiegati della carta stampata, può portare a una fine prematura. La figura di Siani prende corpo in una location che pare la Beirut post bombardamenti, ove un ottimo Ennio Fantastichini, sindaco di “Fortàpasc” (alias Torre Annunziata) spadroneggia al fianco della criminalità organizzata cercando di giustificarsi per una ricostruzione sempre annunciata ma mai iniziata.
Un film toccante, utile per ricordare e soprattutto non dimenticare e a cui il volto e la mascella serrata di De Rienzo, davanti ai revolver dei suoi killer, donano un tocco agrodolce finale.
a cura di Ciro Andreotti