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Amari – Poweri

2009 - Riotmaker
pop/indie

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Tracklist

1. Ho Fatto Un Po’ Di Casino
2. Girls On Vodka
3. Dovresti Dormire
4. There There There
5. Your Kisses
6. Acqua Di Joe
7. New People In Town
8. Cronaca Vera
9. Chupacabra
10. Preservativi Ovunque
11. Lost On The Sea
12. Gli Anni Dei Monitor Accesi
13. Lucio B / D
14. Tiger
15. Un Altro Giro Attorno A Casa

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Ci hanno provato tante volte prima di questa, sei per la precisione, a fare il salto di qualità, a spiccare il volo cosmico verso il mondo della musica che conta per davvero.
Sono gli Amari, quelli che qualche anno fa sembravano i principali protagonisti di una fantomatica e ipotetica rinascita di un indie pop intelligente, ben fatto e soprattutto italiano.
Sono gli Amari, e dopo averci deliziato con varie forme e intensità, si dimenticano di tutto e provano a fare il colpaccio.

Potrei limitarmi a qualche anonima scrollatina di spalle, a qualche inoffensivo “me lo dovevo aspettare”, ma questo “Poweri” è, personalmente, una delle più grosse delusioni del 2009 all’italiana.
I 5 ormai trentenni friulani, rimasti clamorosamente fermi in coda sul cavalcavia della post adolescenza, sciorinano senza mezzi termini un fortunato campionario di sicure furbizie da dance-floor nerd, condensate in un’electro rap di facile consumo, e perchè suonato con impeccabile perizia, e perchè, fondamentalmente, parla di nulla, ma con un piglio di sicuro appeal.
Sarà che gli Amari sono riusciti a trovare la formula vincente per il pop perfetto, sarà che la stanno riproducendo con abilità certosina senza preoccuparsi troppo della sostanza, resta il fatto che della verve che qualche anno fa ci fece gridare di piacere, in questo marasma di canzoni perfette e senza sbavature, sembra essere rimasta solo qualche minuscola traccia.
Frasi carine e poco altro, gioiosi riferimenti alla vita, neanche troppo quotidiana e verosimile, di universitari e nerd da collezione (“Dovresti Dormire“, “Ho Fatto Un Po’ Di Casino”), incastonate in un impianto sonoro da manuale, un mix tra l’electro-rap degli ultimi Why?, certo solito revival anni ’80 e quel pizzico di indie-pop che ancora non si è capito cos’è ma che tanto impazza nella blog society.
Poi c’è quella crudele coltellata della lingua inglese, presente per quasi metà disco, e sembra quasi un improbabile tentativo di raggiungere quote più elevate – Kings Of Convenience, Justice, Kanye West, gente con le palle, insomma – o di entrare nelle grazie di qualche fissato blogger scandinavo o giù di lì.
Che poi i pezzi in inglese suonino maledettamente bene e siano tra i migliori del disco (“Your Kisses”, “New People In Town” su tutti), è un’ulteriore aggravante, per loro, e per il mio cervello fondamentalmente bacato.
Il problema, e non è certo un problema degli Amari, è che sono pezzi che non sfigurerebbero in un disco di Robbie Williams o di Kylie Minogue, pezzi, che, non me ne vogliate, sono sempre e comunque pezzi della Madonna, pezzi di Madonna, ma senz’anima.

I colori sgargianti di “Grand Master Mogol” (clamorosamente bissati nel successivo “Scimmie D’Amore”) si sono affievoliti e amalgamati al grigiume di una scena che non li ha mai premiati a dovere. Volevano essere una college band in un paese che di college neanche l’ombra, volevano essere i portavoce di quella massa di scemi e di sfigati, come me, come noi tutti, che per la maggior parte ha scelto altri più facili portavoci. Si sono ritrovati a giostrare con maestria l’amore incondizionato di un’affezionata schiera di veri sostenitori che di loro apprezzava con sincerità l’impareggiabile ironia e l’ineguagliabile capacità di metterla al servizio di una musica che sembrava davvero nuova, almeno per noi poveri italiani.
Cosa che agli Amari forse è sembrata alla fine un po’ stretta.
Se ne sono andati, per seguire disperatamente la crudele macchina della moda che, a velocità non certo abissali e con la solita tendenza a ripetersi con ciclica e fastidiosa puntualità, li aveva sorpassati, seminati e lasciati indietro, tra braccia festanti e non così ambiziose.
Beh, in bocca in lupo, davvero.

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