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Melophobia

Melophobia #0: No Country For Grannies

Chi ha paura della musica? C’è una scena memorabile, in Apocalypse Now, in cui l’esercito americano, nell’intento di spaventare i guerrieri vietnamiti, monta sui propri elicotteri Huey degli altoparlanti dai quali sparare ad altissimo volume le note de “La cavalcata delle Walkirie” di Wagner. Il trucchetto, meravigliosamente cinematografico, sembra funzionare: i vietnamiti, alla faccia del sentimento pacifista e, a conti fatti, dei risvolti storici, se ne scappano con la coda tra le gambe, facendo muovere vertiginosamente i piedi fino a sparire nelle giuncaglie della loro paludosa e spaventosa terra.

La nostra è una paura diversa. Non è il timore che sale, il terrore che sale, nell’ascoltare il crescente, soffocante evolversi dei toni in un film dell’orrore, non è paura reale per l’inconfondibile musica che, lo sappiamo benissimo, ci farà balzare sulla sedia.

La nostra è piuttosto la timorosa e terrificante possibilità di rimanere senza musica, di restare a bocca asciutta di buona musica.

Perché se di musica, violentando un po’ il termine, se ne farà sempre e comunque, di buona musica potremmo rimanere tremendamente orfani da un momento all’altro.

Sarà per la crisi economica o per l’encefalogramma piatto di qualcuno dei nostri artisti preferiti, sarà per qualche evoluzione tecnologica che ci rovinerà la vita o per qualche talent show di troppo. La decade che si è appena conclusa in un tripudio di rivisitazioni e riunioni, sembra tra l’altro suonare come un tremendo allarme.
La buona musica non è infinita, non è eterna.

Ecco, questa rubrica vorrebbe essere, o almeno regalarvi, una sorta di grosso e ideale sospiro di sollievo. Vorrebbe scacciare le vostre paure, attenuare i vostri timori, offrire (decisive) soluzioni ai vostri silenziosi dilemmi sonori.

L’obiettivo presuntuoso e pretestuoso è quello di far emergere da scantinati buii e polverosi gli artisti incutono timore agli ingranaggi stritolatori dell’industria musicale. Un po’ come quegli operai alienati e spersonalizzati raccontati in Tempi Moderni di Chaplin i nostri artisti lavorano duramente giorno e notte senza ricevere l’adeguata considerazione che gli spetterebbe all’interno della catena produttiva.

L’intento è quello di dare rilievo ad ogni singolo ingranaggio, bullone, vite o chiave a brugola che produce musica – buona musica – che altrimenti rimarrebbe, inevitabilmente, Alieno. La nostra società sempre più xenofoba ed intollerante ci insegna ed infonde la paura dell’Alieno, di tutto ciò che è diverso da noi e per questo incomprensibile. Nel campo musicale si tramuta in Melophobia. Esorcizziamola.

Redazione di ImpattoSonoro

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