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Degada Saf – No Inzro

2010 - Mannequin Records
new/synth/wave

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Tracklist

1. La rumba de Shang Hai
2. Riz du flues
3. Tri-banal
4. Loda loda
5. Zom Africa
6. Polisumis
7. Om
8. No inzro

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Mannequin Records. È sospesa tra futuro e passato. Un vinile sviluppato in un universo sferoidale.  Sperimentazione e archeologia. Archeologia di una visione diversa, sintetica, schizoide, dell’evoluzione artistica che ci ha anticipato. Sperimentazione, della realtà, del cromatismo, dell’estetica moderna.  Un’etichetta che ha un dna ed un’estetica in continuo sviluppo, coerente nel suo essere weird e innovativa.

In attesa di analizzare approfonditamente i progetti, nuovi, e complessi che sta portando avanti con dedizione e passione, soffermiamoci in queste righe a quello che è il lato più storico dell’attività discografica della Mannequin: le ristampe di materiale wave, specialmente italiano come nel nostro caso.

No Inzro è un LP di culto della nostra cultura wave dei primi anni ’80 (1984 per la precisione). Risultato della mente di  due sperimentatori del suono quali: Fausto Crocetta e Luigi Campalani ( più collaborazioni aggiuntive con Fabio Basso, Gianni Baggio e Stefano Dal Col) , è un piccolo gioiello di musica dada dalle sfumature pop.  Composizioni  in bilico tra minimalismo e assalti ritmici, fusi in una cornice estetica melodica, No Inzro è un corpo trapassato, trafitto dolcemente da spunti di avanguardia e elettronica coloratissima e plastica.

Se “La Rhumba de Shang Hai” può essere considerata, anche se a torto, un immagine riassuntiva del gusto e del tono un po’ kitsch, un po’ retrò del disco, con melodie fredde dal gusto ipnotico, è con la serie di brani “Ris du Fles”, “Tri-banal” e “Loda Loda” che  entriamo nel materia cerebrale viva di questo disco. Scheletrico, surreale, ripetitivo e assurdo nelle vocalità adottate, è un esperimento che poteva benissimo uscire dalle mani e sferragli dei Cabaret Voltaire.

Le successive “Zom Africa” e “Poli Su Mis” sono l’ironia del synth-pop, l’ironia della sua leggerezza fatta stupida banalità, mentre “Om” e la finale title-track  si sviluppano in un dissonante, rarefatto non-canto. Un blaterare liquido, una pozza gelatinosa di fonemi.

Una metafora dell’ansietà, dell’assurdo, del cinismo in cui l’essere umano è immerso nell’ottica meccanica del consumo\produco\consumo\capitalizzo il mio cervello\il mio linguaggio.

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