Non è un disco per i suoi fan più incalliti, né per quelli dell’ultimo minuto. Polly Jean Harvey è tornata con una dozzina di canzoni nuove e decisamente lontane sia dall’ultimo “White Chalk” (2007) sia da quel capolavoro intitolato “To Bring You My Love”(1995).
Due album diversi l’uno dall’altro ma che in fondo potrebbero aiutare a comprendere la nuova veste compositiva ed espressiva che “Let England Shake” indossa. Al fianco della cantautrice restano i fidati John Parish, Mick Harvey e Flood, ma il centro dei suoi pensieri stavolta è la guerra, con la sua Inghilterra a far da musa. C’è una ritrovata distensione emotiva, c’è un’enfasi creativa che abbandona l’intimismo più essenziale per sposare un cantato meno urlato e maggiormente narrativo ed eclettico, evocativo ed incentrato come sempre su una poetica ambigua e spiazzante. E’ un disco ricco di influenze, ispirato dal rock come dal folk, dal blues come dallo swing dei Cinquanta. Polly Jean cambia rotta ancora una volta, individuando nella sperimentazione il miglior estro e un nuovo tessuto sonoro, fatto di chitarre ora morbide ora nervose, melodie seducenti ed episodi corali mediorientaleggianti, sax e tromboni, voci irrequiete e a tratti fanciullesche.
Dalla title-track alla splendida “The Last Living Rose”, fino alla solenne “All And Everyone” o all’insidiosa “Bitter Branches”, il disco scorre intenso nelle sue sfumature ed affascina come farebbe una trama mistica e cruenta senza orpelli né inganni, con la certezza che a narrarla sia un’artista come PJ Harvey, fenomenale e intrigante come sempre. Le aspettative cresciute intorno a questo disco sono state soddisfatte e rispettate pienamente e ciò che ne vien fuori è la consacrazione di un talento originale e assoluto.