Israele non è certo considerata la culla del rock mondiale. Sinceramente, a dirla tutta, è uno di quei luoghi sulla terra, in cui nessuno avrebbe immaginato che un trio di disagiati, con barba e capelli lunghi, si facesse largo a colpi di un garage punk marcio e sudato.
Ami Shalev, Yonatan Gat, Ran Shimoni, rispettivamente cantante, chitarrista, batterista, originari di Tel Aviv formano i Monotonix nel 2005. Dopo neanche un anno di attività, sono cacciati e bannati da qualsiasi locale di Israele per “oltraggio alla pubblica decenza”. Sarò eternamente grato alle autorità israeliane, perchè da questo momento in poi, i nostri diffonderanno il proprio verbo sui palchi di mezza Europa e degli Stati Uniti.
Tra il 2006 e il 2008, girano in tour, con alle spalle un solo EP (“Body Language”) di sei pezzi e una strumentazione ridotta all’osso. Risultato? Straordinario. Merito di live animaleschi, in grado di coinvolgere il pubblico, in veri e propri riti collettivi di purificazione. Bidoni della spazzatura, oggetti di qualunque tipo presenti sul posto, gli stessi corpi degli astanti, nulla si salva dalle pirotecniche gesta di Ami Shalev e soci.
Dopo un primo album datato 2009 (“Where Were You When It Happened?”) i Monotonix danno alle stampe “Not Yet”, secondo full-length, accompagnato, come il precedente, dalla regia sonora di una vecchia volpe come Steve Albini, bravo nell’adottare un approccio prettamente lo-fi, che esalta l’urgenza emotiva del gruppo.
La prima traccia (“Nasty Fancy”) mette subito in chiaro le cose: un solido muro sonoro, costruito dai ruvidi riff di Yonatan Gat e le ritmiche selvagge di Ran Shimoni, condito con lo strascicato coagulo vocale di Ami. “Everything that I see” è un siluro punk di due minuti e mezzo. Non fai in tempo ad immaginartelo suonato dal vivo, che sei travolto da una tonnellata di garage rock acido, infarcito dagli urli alcolici vomitati da Ami (“Before I pass away”, “Blind again”).
Musicalmente parlando, colpisce la varietà di intonazioni dei vari brani, in bilico tra ritornelli slabbrati e sonorità hardcore alla Bad Brains (“Give me more”), vagiti stoogesiani e MC5 (“Fun fun fun”, “Try try try”) conditi con il migliore hard rock (“You and me”).
Rispetto ai due lavori precedenti, il passo avanti nella costruzione delle canzoni è evidente. “Late night”, penultimo brano, ne è la prova. Echi alla Kyuss, per una perla stoner, che rallenta i ritmi frenetici e lascia spazio ai grovigli psichedelici della chitarra.
In definitiva, gli anni passati a sudare sui palchi di mezzo mondo, si concretizzano in questa uscita discografica. “Not Yet” incarna lo spirito anarchico e passionale dei Monotonix, segnando una maturazione dal punto di vista stilistico, con canzoni ben costruite e una maggiore consapevolezza nelle influenze.
John Lomax, giornalista americano, dopo un concerto li ha definiti come “la band perfetta per i nostri tempi, la colonna sonora e la rappresentazione visiva di un mondo che sembra andare fuori controllo”. Tra l’altro, i primi di marzo saranno in Italia per tre date.
Il rock ‘n’ roll non è morto…not yet.