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Cults – Cults

2011 - Columbia
pop/indie/noise

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Tracklist

1. Abducted
2. Go Out­side
3. You Know What I Mean
4. Most Wanted
5. Walk At Night
6. Never Heal Myself
7. Oh My God
8. Never Saw The Point
9. Bad Things
10. Bumper
11. Rave On

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Ci sono tante cose da dire su questo album che è riuscito in così poco tempo a creare due forti eserciti: gli evangelizzatori  del gruppo, pronti ad elevarli a eminenze grigie della musica, ed i miscredenti pronti a rispedirli nel buco underground da cui son usciti. Si sa, quando esce un qualcosa avvolto dall’ “hype” è sempre dura riuscire a trovar un punto di vista proprio e lontano dalle influenze dei due “schieramente”.
Ma cominciamo dal principio.

I Cults sono un duo newyorkese nato meno di un anno fa e composto dalla cantante Madeline Follin e dal “il-resto-lo-suono-tutto-io” Brian Oblivion che ho definito così poiché si occupa della batteria, della chitarra e ogni tanto interviene pure a livello vocale.  Dopo aver pubblicato giusto qualche traccia online, iniziano a crescere giorno dopo giorno il numero di ascoltatori, le visite schizzano verso le stelle e gli operatori del settore iniziano ad avventarsi sopra il duo. Si inizia a costruire un hype devastante. Tant’è che con soli tre-quattro pezzi, vengono contatti da Lyli Allen che li porta in “In The Name Of”, la sua etichetta discografica all’ombra di mamma Sony Music. Il successo è assoluto. Iniziano a volare i voti positivi dalle più grandi riviste di settore e si mettono in campo tutti gli agenti possibili per arrivare ad ogni ascoltatore. Serve però più materiale. Produrre un misero EP non basta più a saziare gli appetiti. Ed ecco che dopo svariati mesi arriviamo ai giorni nostri ed esce il loro primo lavoro dal titolo omonimo.

Ma cosa fanno questi Cults? Il loro genere più essere definito vagamente come tweet/power pop ovvero come un misto di canzoni di semplice composizione e facile strutturazione, con testi fortemente emotivi che spaziano da atmosfere soffuse fino a momenti carichi di tensione. Tutto condito da qualche vago ricordo di quel decennio targato ‘60. Eredi spirituali dei potenti muri sonori tanto cari a Phil Spector. Ma anche le “The Supremes” con un tocco di nichilismo, che oggi va tanto di moda.
Da qui la prima cosa positiva dell’album ovvero il saper ripescare un genere molto di moda più di cinquant’anni fa, assorbirlo e riproporlo in modo nuovo con sintetizzatori sempre pronti, voci ossessive e testi vagamente cupi. C’è da dire che il cd è suonato e arrangiato davvero bene. Dura la durata giusta: circa 35 minuti per 11 canzoni tipicamente pop e abbastanza uguali tra di loro. Anche i testi son scritti in modo semplice e avvolgente tanto da rendere molte canzoni, “Abducted” in primis, quasi delle filastrocche. Le sonorità anche esse semplici ed immediate fanno spesso e volenti “danzare” tra una “Oh my god” e una irresistibile “Walk at night”. Vincente in forma anche il vecchio singolo “Go outside”. Potente la conclusione del disco con “Rave On”.

Qui però iniziano i difetti. Perché Cults è un gruppo ma anche un disco che ha svariati punti a favore ma altrettanti difetti molto grossolani. Il primo lato negativo del disco è la composizione dei testi che tra un amore dimenticato e un addio non del tutto definitivo fa sorgere il solito immaginario post adolescenziale. Le stesse sonorità molto orecchiabili e ballabili non aiutano a far rafforzare la maturazione dei testi. Risulta quindi un disco con una forte orecchiabilità che va a discapito della profondità e dell’intensità delle parti più articolate ed emotive. Questo tende a far diventare il lavoro un qualcosa di commerciale, privo di anima se non quella di dover fare a fine anno i conti con qualche major. Tutto il lavoro che c’è dietro inizia a sbriciolarsi e il disco sembra più una delle tante uscite estive che servono solo a farci passare qualche bella serata. In attesa di un altro anno e di un nuovo gruppo. L’hype allora inizia a calare, e l’ennesima stella è pronta a diventare meteorite.
I Cults son stati vittima dei troppi fans, dell’hype e probabilmente anche di Lyli Allen. Le catene che opprimono. Dovrebbero fare una canzone a riguardo. Tuttavia presto capiranno che se vogliono essere un gruppo che lascerà il segno e non solo un disco dell’estate bisognerà riprendere in mano la situazione, andare oltre, maturare.
Cults purtroppo è un disco che non rimarrà a lungo sia nella menti che nei cuori delle persone. È come un onda: travolge, avvolge, si ritira. E poi ritorna. Si ripete, si ripete, si ripete. Annoia. Dannatamente orecchiabile e fresco, quanto adolescenziale e un po’ vanitoso.  La sufficienza la raggiungono e se la tengono stretta, però si spera solo che il futuro di questo duo possa essere qualcosa di meglio e di più maturo.

Per il resto rimando a qualche produzione italiana di alto livello, come i dischi dei Colloquio per quanto riguarda profondità dei testi, ai Fitness Forever in quanto a freschezza estiva e al “sorprendente album d’esordio” dei I Cani per chi vuole sentire qualcosa che son convinto rimarrà anche quando l’hype non ci sarà più.
Cari Cults, ci vediamo al prossimo disco per l’esame di riparazione…

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