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Interviste

Intervista a DIMARTINO

In occasione dell’Ypsigrock 2011, il festival indie di Castelbuono (PA), abbiamo avuto occasione di scambiare quattro chiacchiere con Antonio Di Martino, basso, voce e autore delle canzoni dei Famelika prima, e oggi del progetto musicale Dimartino.

a cura di Giulio Caroletti

Antonio, come mai la scelta di passare dal nome Famelika al nome Dimartino? Soprattutto considerato che Giusto Correnti [batteria, percussioni e melodica] e Simona Norato [tastiere e chitarra], i membri della tua band, sono entrambi ex-Famelika come te. E Dimartino è il nome di un artista solista o il nome di una band?
Famelika è un nome che ha caratterizzato il passato, è il nome di una band che ho fondato dieci anni e che non mi rappresenta più. Dimartino è un nome che rappresenta me ma allo stesso tempo qualcosa di più di me: io scrivo le canzoni, ma Giusto e Simona sono amici e collaborano alla scrittura degli arrangiamenti, per cui Dimartino indica la virata verso una musica più cantautorile, una musica di cui sono io l’autore, ma conserva in un certo senso dentro di sé l’impronta del lavoro di gruppo. Il fatto di essere solo in tre mi piace; mi piace l’idea di ridurre tutto all’essenziale, mi fa industriare di più nell’approcciarmi all’arrangiamento. Mi piace forse perché in questo periodo sono più per restringere che per aggiungere.

Cosa prevede il futuro per Dimartino e i suoi sodali?
Il nuovo disco dovrebbe uscire prima dell’estate 2012, credo che andremo in studio fra gennaio e febbraio.

Cosa stai leggendo e cosa stai ascoltando in questo momento?
Sto leggendo “Hanno tutti ragione” di Paolo Sorrentino, devo dire che sono piacevolmente sorpreso dal fatto che un così bravo regista sappia anche scrivere – e ascolto i Beach House, un gruppo di dream pop che ho scoperto da poco.

Si vedono molte collaborazioni nella musica alternativa e underground italiana (un po’ come poi in quella più commerciale, a dire il vero). Pensi che queste collaborazioni siano solo un modo di acchiappare il pubblico o una moda, oppure che ci sia un desiderio sincero di confrontarsi fra gli artisti che lavorano insieme a un pezzo, un disco? E le collaborazioni del tuo disco, come Vasco Brondi, Alessandro Fiori ed Enrico Gabrielli, come sono nate?
Non me lo sono chiesto mai, ma probabilmente alcune collaborazioni scaturiscono da esigenze discografiche, però in generale sono molto pro. Non voglio dire una cosa banale, ma arricchiscono, perché tu ti metti nel punto di vista di un altro, e ti fai giudicare anche dal pubblico dell’artista con cui collabori. Penso davvero che molte collaborazioni siano sincere. Per quel che riguarda le mie: Quando ho chiesto a Vasco Brondi di cantare in “Parto” ancora faceva le selezioni del Premio Tenco, era prima che avesse la visibilità di adesso, l’ho visto suonare dal vivo e ho voluto coinvolgerlo. Le collaborazioni con Fiori [“la lavagna è sporca”] e Gabrielli [“la lavagna è sporca”, “Ho sparato a Vinicio Capossela”] sono nate perché quando registravamo il disco con Cesare Basile come produttore sono passati a salutarlo, e l’idea è nata così, sul momento. E con Brunori ho collaborato a “Animal Colletti” perché entrambi siamo stati licenziati e avevamo in progetto di aprire un pollaio al sud.

Parliamo di alcune canzoni specifiche del primo disco? Cominciamo da “Ho sparato a Vinicio Capossela, la canzone per forza di cose più discussa. E’ una critica? E’ la proiezione di un desiderio? E’ una canzone contro o a favore di Capossela? La rete, come anche youtube, è piena di commenti critici e accuse di fan di Capossela arrabbiati, e allo stesso tempo di gente che non sopporta Capossela che si dice entusiasta che finalmente qualcuno gli abbia detto il fatto suo. Ma la verità sul pezzo dove sta?
Non è assolutamente una canzone contro, anzi è un pompino a Capossela [ride]. Sparare a Vinicio Capossela è sparare a un certo tipo di mondo e di situazione sentimentale in cui mi ero ritrovato, in cui mi ero lasciato con una ragazza che era appassionatissima di Capossela, e quindi sparare a Capossela è come sparare a questa situazione sentimentale. Ma io apprezzo Capossela, è un punto di riferimento più che musicale come personaggio, come artista che nel 2011 fa quel cazzo che gli pare, e si è costruito la propria carriera per poterci arrivare a questa libertà.
Poi è chiaro che la canzone è anche provocatoria, le canzoni devono smuovere, hanno il potere di essere immediate e possono raggiungere un pubblico ampio e anche smuovere e colpire chi sta sotto il palco. Il fatto che la canzone venisse fraintesa era chiaramente messo in conto, e neanche mai ho cercato di giustificare la cosa.

Ci metto un tocco personale: forse il mio brano preferito del disco è “Cambio idea”. Il cambiamento di cui si parla è positivo o negativo? E’ crescita o confusione?
Il cambiamento è positivo in tutti i casi, un uomo che rimane sempre della sua idea ci perde, cambiare idea è fondamentale nella vita… Quindi posso cambiare idea su tutto: sul disco dei Nirvana che prima mi piaceva e ora non mi piace più (poi magari è perché quel qualcosa che cambio ora lo sento appartenere al passato, senza che ci sia bisogno di rinnegarlo); su mio padre che ho rivalutato come persona… Per cui quella canzone più che altro è un elogio al cambiamento, un invito a non rimanere sempre su quell’idea, a fissarsi su un concetto. Forse gli ideali non vanno cambiati, magari gli ideali bisogna tenerli, bisogna tenerli stretti, ma le idee vanno cambiate.

Marzo ’48, con cui si chiude il disco, ricorda quasi “Barcarola”, il finale di “Come è profondo il mare” di Lucio Dalla, per il tipo di atmosfera evocativa sia nella musica sia nel testo.
[sorride] Non ci avevo pensato, ma ci può stare, Dalla sicuramente è un’ispirazione che ci può stare, mi piace il suo modo di approcciarsi alla canzone. In quei dischi [immagino si riferisca al periodo classico di Dalla, da “Anidride Solforosa” (1973) a “Dalla” (1980)”] ha creato un approccio nuovo, personale, alla canzone italiana.”

E chiudiamo con Luigi Tenco, uno dei primissimi cantautori italiani e una chiara fonte di ispirazione, a partire dal titolo del disco, che si rifa alla sua canzone “Cara maestra”, per non parlare della cover di “la ballata della moda”.
La cosa più importante in una canzone è la verità. Mi piace l’idea della canzone-verità. Tenco era molto sincero. Alcune sue canzoni come “Cara maestra”, appunto, o “Hobby”, sono verità pura. “La Ballata della Moda” è la canzone più sincera che sia mai stata scritta nella musica italiana. Tenco non scrive una parola di troppo, una parola troppo poco, e questo è quello che ho imparato di più da lui, che ricerco nelle mie stesse canzoni: scrivere solo la pura verità.

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=lN0wxkuchyE[/youtube]

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