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The War On Drugs – Slave Ambient

2011 - Secretly Canadian
indie/folk/shoegaze

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Tracklist

1. Best Night
2. Brothers
3. I Was There
4. Your Love Is Calling My Name
5. The Animator
6. Come To The City
7. Come For It
8. It’s Your Destiny
9. City Reprise
10. Baby Missiles
11. Original Slave
12. Blackwater

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Arriva l’autunno, piove, comincia a fare freddo e hai solo voglia di stare chiuso in casa, bevendo thè e fumando della buona erba. Che musica ascolti? “Slave Ambient” dei War On Drugs, l’ultima chicca nel catalogo dell’etichetta indipendente Secretly Canadian. Questo lavoro giunge dopo tre Ep, diversi cambi di formazione, a tre anni dall’album d’esordio “Wagonwheel Blues”.
L’intento è quello di portare avanti un progetto che percorra i classici suoni roots-rock americani fondendoli con l’abbraccio cerebrale dello shoegaze, con la psichedelia, il dream pop e certi ammiccamenti ambient anni ’80.

“Slave Ambient” celebra il rito della creazione artistica attraverso le non-regole della contaminazione totale; da una parte il robusto country-blues dylaniano e il rock springsteeniano, dall’altra un wall of sound ambient, modellato da una moltitudine di ipnotiche stratificazioni sonore. Adam Granduciel, accompagnato dai polistrumentisti Dave Hartley, Robert Bennett e Mike Zanghi, sforna canzoni che sembrano sospese sul filo di un’alba spettrale, portatrici di emozioni ipnotiche e stranianti. Il primo assaggio di questo caleidoscopio sonoro è l’opener “Best Night”, armoniosa sovrapposizione di tastiere, chitarre, synth e melodie impastate che sembrano sul punto di dissolversi da un momento all’altro. Non esiste una classica struttura musicale, i suoni sgorgano dinamici senza fermarsi, sorretti dal cantato nasale di Granduciel. Dal blues fluttuante di “I Was There” ai brani più ritmici e springsteeniani, come “Brothers”, “Your Love Is Calling My Name” e “It’s Your Destiny”, dove psichedelia, new wave ed elettronica s’incontrano creando atmosfere oniriche di grande suggestione. Chiudendo gli occhi, pare di viaggiare nel tempo. La band di Philadelphia ci regala un climax sonoro composto da epiche basi di organo, armoniche fluttuanti e distorsioni d’ogni tipo, che vedono il loro apice nelle atmosfere lisergiche ed espanse di “Come To The City”, “Baby Missiles” e negli intermezzi strumentali dall’afflato spaziale (“Come For It”, “City Reprise”, “Original Slave”).

“Slave Ambient” è una dimensione a parte che sta oltre lo specchio, tanto diversa quanto accogliente e scivolarci dentro può essere un piacere tutto speciale.

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=rMToQg0vSds[/youtube]

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