Chi era veramente Millicent Blades e come trascorse le sue ultime ore prima della scomparsa, durante la terribile bufera di neve del 1978?
Ruota attorno a questi inquietanti interrogativi l’ultimo album dei Reigns, che più che un “concept-album” si candida ad essere una “ricostruzione sonora dei fatti” in piena regola.
Il duo del Wessex divide la storia in undici capitoli musicali, tra mistero, tensione, decadenza e turbamento.
Secondo alcune fonti (più o meno attendibili) i Reigns si sarebbero mostrati talmente scrupolosi nel voler ricreare le atmosfere della scomparsa della vedova, da rintanarsi per alcuni giorni nella sua casa, per coglierne gli odori di fondo e registrare alcune tracce proprio nella stanze in cui Millicent Blades era solita riposare. Inoltre (cosa ancor più angosciante) avrebbero registrato l’intero album sotto i particolari effetti dell’Hybrium Sulphate, una non meglio precisata miscela chimica che la vedova era solita farsi prescrivere per alleviare le personali pene.
Verità o subdola trovata di marketing? Non importa (anche se personalmente propendo per la seconda versione) , quello che ci deve interessare è la musica e bisogna ammettere che ascoltando “The Widow Blades” più di una volta i brividi scorrono a fior di pelle: “Hybrium Sulphate” è delizia e decadenza allo stato puro, “They Likes to Sleep Soft” una ninna nanna soffice e sottilmente diabolica, “The Diagram” avrebbe tutti i connotati per essere scelta come intro di un qualsiasi film di Dario Argento e come non parlare della maestosa suite finale “The Mounds”, in cui elettronica e ambient trovano il connubio ideale sopra un tappeto ovattato color sangue.
I Reigns stavolta hanno fatto centro, riuscendo a trasformare le loro più inquiete visioni in musica, seguendo un enigmatico canovaccio che (vero o artificioso che sia) dona più di un perché all’ascolto dell’intero album. Anche l’affascinante mondo musicale adesso ha il suo “The Blair Witch Project”.
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