“Metals” è (finalmente) il quarto album firmato Leslie Feist, e segue, a quattro anni di distanza, il fortunato “The Reminder”. L’artista canadese ha speso questi anni in collaborazioni e impegni collaterali (Broken Social Scene, Dark Was The Night) che hanno indubbiamente arricchito e ampliato il suo già vasto ed eclettico stile.
I riferimenti all’innata eleganza di Jeff Buckley, Joni Mitchell, alla sensibilità melodica e soul di Tracy Chapman (per fare qualche nome noto), ci sono ancora tutti, ulteriormente raffinati e sublimati, in un processo che, nel corso degli anni, è andato sfrondando il superfluo, per rimanere con uno scheletro sonoro sincero, trasparente, personale e intenso, come solo una grande artista può essere.
Questo per dire che “Metals” è un’opera in cui la continuità col passato (personale e culturale) fa il paio con il fisiologico progredire di un percorso artistico, che si traduce in un disco questa volta più intimo e raccolto, sempre eclettico e mutevole, ma dai toni generalmente tenui e dall’incedere pacato, quasi meditativo, sebbene per nulla privo del corposo impianto emotivo e sensuale che la voce di Feist da sempre evoca all’ascolto.
La partenza è affidata a “The Bad In Each Other”, perfetta opener che unisce un efficace ma sobrio impianto strumentale a un grande comparto canoro e corale.
Un sentore nostalgico sembra promanare dalla delicata “Graveyard“, alla quale fa seguito la sofisticata “Caught A Long Wind”. Calde pulsazioni soul animano “How Come You Never Go There” (primo singolo), nient’altro che blues sta invece alla base di “Bittersweet Melodies”, mentre è genuinamente folk lo spirito di “Comfort Me” e “Cicadas And Gulls”. Canzoni che arrivano immediatamente al cuore di chi ascolta, come anche la dolce e commovente “Get It Wrong, Get It Right”, che chiude un disco in apparenza semplice, ma finemente cesellato nei suoni e negli arrangiamenti (grazie anche all’aiuto di Chilly Gonzales, Mocky e Valgeir Sigurðsson).
Leslie Feist si conferma prepotentemente eclettica, mostrando capacità e maturità adatte a lavorare su queste eterogenee sonorità, infondendole della propria personalità artistica, un’anima vibrante, delicata ma intensa, grazie alla quale azione e contemplazione, in chiave artistica e spirituale, condividono lo stesso equilibrio che qui esiste tra classicismo strutturale e modernità interpretativa, incorniciando un album sostanzialmente perfetto, che cresce ad ogni ascolto, scoprendo e illuminando poco a poco nuovi paesaggi, nuovi orizzonti, in un’esperienza fortemente sinestetica che è sicuramente fra le migliori uscite dell’anno.
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