“Ceremonials” è il secondo album di Florence Welch, talentuosa vocalist inglese che ha impressionato pubblico e critica col suo bellissimo debutto, “Lungs” (2009), nonché con live show caratterizzati da performance impeccabili e grande impatto visivo.
Il complesso eppur spontaneo melting pot stilistico presentato all’esordio ritorna in tutta la sua potente vitalità, che riesce a coniugare incredibili passaggi di genere, dall’r’n’b al rock dei ’70, dal gospel/soul al pop da classifica, il tutto arrangiato e scandito in modo tale da far spiccare soprattutto le tonalità e le atmosfere più epiche ed evocative possibili.
Al di sopra di questo mutevole e cangiante caleidoscopio di sonoro svetta ovviamente la voce di Florence, algida ed elegante, ipnotica e sensuale, ma anche incredibilmente diretta e potente.
Ancora accompagnata dall’ensemble noto come The Machine, tra cui ritornano Rob Ackroyd (chitarra), Chris Hayden (batteria) e Isabella Summers (tastiere), la giovane cantante, chiamata a confermare quanto di buono mostrato in precedenza, palesa sin dai primi secondi d’ascolto il grande dispiego di mezzi e la spontaneità dell’ispirazione che sta dietro a composizioni sempre e comunque immediate ed accattivanti.
Rispetto a “Lungs” questo nuovo disco risulta più elaborato e ragionato, in sede di arrangiamento, pur mantenendo salva la necessità, l’urgenza espressiva che caratterizza la sua proposta artistica. Proprio in questo senso è possibile leggere la profondità tridimensionale del comparto strumentale di “Only If For A Night”, al quale si associa una performance vocale che intesse liberamente linee melodiche e armonie sorprendenti, per tecnica e intensità. Anche la successiva “Shake It Out” riesce a stamparsi subito nella mente, grazie al suo anthemico chorus, la cui potenza è un’altra delle cifre stilistiche ricorrenti di questo disco.
Ma “Ceremonials” non ha da mostrare solo l’impatto e la potenza espressiva (“No Light, No Light”, “Heartlines”), ma anche atmosfere magiche e umbratili, che rispecchiano l’inclinazione estetica gotica e notturna di Florence (“What The Water Gave Me”, “Breaking Down”, “Leave My Body”).
A livello prettamente tecnico l’album offre suoni puliti, definiti e potentissimi, con un equilibrio e un’alternanza di volumi sostanzialmente perfetti (opera di Paul Epworth, presso lo Studio 3 di Abbey Road), grazie ai quali si ha una visione a tutto tondo del complesso panorama espressivo della cantante londinese.
In conclusione il nuovo Florence And The Machine entra a buon diritto fra le uscite più significative ed entusiasmanti dell’anno in corso, completando una stagione davvero ricchissima di comeback al femminile (Bjork, Feist, Zola Jesus).
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