Hanno preso in prestito un po’ di dubstep, hanno ritrovato le distorsioni e i riff dei primi lavori e li hanno rinnovati, non hanno smarrito la loro carica, hanno allargato i loro orizzonti musicali e hanno tirato fuori dal cilindro un album straordinario: gli Enter Shikari, dopo un ottimo “Common Dreads”, in cui si cominciavano a sentire i primi segnali di rinnovamento stilistico, tornano a stupire con un lavoro imbottito di esagerazione, sempre ben pesata, che non rischia mai di rovinare l’equilibrio dell’album.
“A Flash Flood Of Colour”, terzo album della band di St. Albans, è un concentrato di elettronica: si spazia dalla sopracitata dubstep, alla drum ‘n’ bass, sfiorando anche elementi trance. Un’elettronica che corrobora e completa il contesto dell’album, che gira tutto intorno allo sviluppo, al rinnovamento tecnologico e alla necessità di affidare il progresso della nostra civiltà alle scoperte scientifiche: lo stesso frontman, Rou Reynolds, ha espresso chiaramente l’intento critico dell’album, che mira ad attaccare sistemi politici ormai superati e la loro scarsa disponibilità al progresso tecnologico, facendo spiccare la vena catilinaria tipica degli Enter Shikari. Ciò nonostante, le ritmiche pesanti, gli scream e i growl, provenienti dall’ambiente post-hardcore, continuano a caratterizzare il sound massiccio della band d’oltremanica. Un lavoro del genere era necessario dopo “Common Dreads”: l’album giusto, al momento giusto. Un successo quasi annunciato dai tre singoli “Destabilise” (ottobre 2010), “Quelle Surprise” (maggio 2011), “Sssnakepit” (settembre 2011) e “Gandhi Mate, Gandhi” (dicembre 2011), che hanno reso l’attesa dell’album ancora più difficile.
Una tracklist solida, che contiene pezzi geniali e acuti, senza sbavature, né punti morti, indice di una serietà e di una capacità d’adattamento musicale eccezionale. “Ghandi Mate, Ghandi”, ad esempio, il pezzo più “ridicolo” (così definito dallo stesso Reynolds) di “A Flash Flood Of Colour”, trasuda senso dell’eccesso: uno “yabadabadoo”, nel testo di una canzone è qualcosa di più unico che raro, un pezzo d’antiquariato, una reliquia da custodire avidamente. “Arguing With Thermomethers”, uno dei pezzi migliori dell’album, unisce principi dubstep a un ritornello genuinamente di calco indie-rock. “Hello Tyrannosaurus, Meet Tyrannicide”, pezzo possente e minaccioso, che per certi versi ricorda i KoRn, è un altro campione del pungente acume della band inglese tramite un creativo attacco alle istituzioni politiche, lo si capisce già dal titolo. “Pack Of Thieves” testimonia invece l’abilità vocale di Reynolds e compagni attraverso cori e reticoli vocali, che sembrano andare di pari passo con l’elettronica 8-bitteggiante. “Quelle Surprise”, altro capolavoro dell’album, riassume in poco più di 4 minuti e mezzo, il succo dell’album, ossia l’importanza di un adattamento, necessario, da parte della specie umana al continuo progresso scientifico e tecnico.
Nei circa tre quarti d’ora dell’album c’è spazio anche per pezzi più tranquilli e in parte acustici: “Stalemale”, aperta denuncia alla guerra, è aperta da un arpeggio di chitarra acustica; “Constellations” si risolve in un’esplosione di archi e distorsioni, ma solo dopo un lento e accorato flusso di parole, quasi come fosse un’orazione, accompagnato da pad celestiali e sporadici violini.
“A Flash Flood Of Colour” è, dunque, un album importante, sia dal punto di vista delle scelte musicali d’avanguardia, sia per quanto concerne l’ambito dei testi e del messaggio da trasmettere: un album che potrà sempre essere al passo con i tempi.
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