Visti e amati al primo sguardo durante il live svolto in occasione dell’ultimo Tago Fest (evento mai plaudito e ringraziato abbastanza), i due musicisti di Roma Est hanno confermato le loro promesse con quest’ album di surreale densità psichedelica.
Una sublimazione onirica composta da riflussi e vibrazioni inquiete e negative, un piccolo maelstrom cosmico di drone e feedback cupi e stridenti al tempo stesso. Ma non è un monolitico concentrato concettuale o un espediente di maniera, un tecnicismo di pedali e synth. Il lavoro alla base di “Death Surf” mostra un’identità complessa, che parte dagli Spacemen 3 e vira dentro un panteismo al limite fra tribale, il cinematografico (rimandi alle colonne sonore spaghetti western sono numerosi) e la musica ritualistica, cerimoniale di gruppi a cavallo tra ’60 e ’70.
Inserti più noisy e rumoristici rendono più stratificate quelle che sembrerebbero semplici camei rockabilly, oltre che costruire complessi meccanismi circolari dalle tinte ipnotiche. La capacità di saturazione del suono del duo romano tende ad assomigliare al sole accecante e all’isolamento di un’isolam,un paradiso turistico pubblicitario come Tahiti è un riferimento che ben si addice allo stile che pervade il disco, un continuo e vago sentimento di nomadismo, tra note sparse, emozioni abbaglianti e confuse.
Un disco importante ed emblematico della scena underground italiana e dell’operato dell’ottima Boring Machines che li ha sostenuti e prodotti.
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