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Interviste

Intervista a GIULIO CASALE

Giulio Casale ha presentato il suo ultimo lavoro “Dalla parte del torto” in un locale un po’ insolito. Definirlo ristorante sarebbe banale, chiamarlo osteria poco veritiero: è una rOckSTERIA e apre le sue porte alla musica d’autore, quella che difficilmente passa nelle radio, quella ricercata, che ha ancora qualcosa da dire.
Quale luogo migliore di rOckSTERIA per ospitare Giulio Casale, un artista poliedrico, che ha fatto della scrittura, nella sua forma più ampia, il suo modo di interfacciarsi al mondo, di accarezzarlo e schiaffeggiarlo quando è necessario, e quando cioè si presenta ai nostri occhi, come Giulio stesso lo definisce, “mistificante e mistificatorio”.
La presentazione scorre veloce: tra i brani dell’ultimo album e le domande di Federico Fiume, che portano il cantautore a raccontarsi, trova spazio anche la cover di Giorgio Gaber “L’elastico”.
L’artista milanese aleggia nelle canzoni di Casale in modo del tutto personale: “Se Gaber è presente nei miei gesti e nelle mie omissioni scelte, se è presente la lezione artistica data da ciò che era sul palcoscenico in 30 anni di teatro, io l’ho assorbito. Il punto è diventare quella lezione, non citarla”.
Sarebbe stato bello ascoltare la versione proposta da Casale dei due brani che l’artista ha scritto per l’ultimo lavoro di Sergio Cammariere.
Dopo la presentazione del disco abbiamo trattenuto Giulio per un’intervista che non poteva che essere insolita, almeno quanto il clima che ci circondava.
Il suo flusso di coscienza, l’ondata dei suoi pensieri, l’irruenza del suo stile comunicativo ci ha coinvolto e spiazzato.
Tradurre questo flusso inondante in un botta e risposta avrebbe impoverito la forza delle parole e la prorompenza delle idee di un uomo che ha davvero tanto da dire, ma anche da insegnare, anche se lui non pensa di essere nella condizione per poter insegnare qualcosa a qualcuno.
Ci insegna a vivere “Dalla parte del torto”, ad occupare quel posto che è sempre vuoto, che nessuno vuole perché non paga, ma che ti permette di vedere le cose da una prospettiva diversa.

“In fondo si sta bene “dalla parte del torto” se senti che stai avendo un dialogo e non un monologo, anche solo con 50 persone, ma che quelle 50 persone stanno dialogando con me: riesco a fare un lavoro della contraddizione che porto, e questo è un miracolo, perché non sono legato allo show business.
Siamo pochissimi, ma se siamo pochissimi è già un miracolo: siamo tutti qui, dalla parte del torto,  qui, con quella costanza di stare dopo 20 anni ancora dalla parte sbagliata, credendo in quello che fai, parando a chi ha il cuore aperto e le antenne dritte.
A quel punto non è show business, non c’è l’artista sul palco che dice la sua verità e gli altri che se la bevono, a quel punto è un dialogo. Il fatto che i dialoganti siano venuti a dialogare con l’artista smentisce la regola dello show business secondo la quale tu prima devi diventare famoso e poi avrai diritto di parola, inverte il processo dal momento che non avendo mai avuto diritto di parola nei grandi contenitori pubblici, riesci a costruire un dialogo con le persone.
E il fatto che loro cantano le tue canzoni o tengono il tempo, pur assomigliando a ciò che avviene durante il concerto dell’artista pop del momento, è visto su un altro livello, perché quelle canzoni non le hanno mai sentite in radio, non li hanno bombardati. Se le cantiamo tutti insieme stiamo cantando tutti il rifiuto per certe logiche.”

Da quella sedia “dalla parte del torto” lo scrivere non è più un mero atto meccanico volto a far soldi, scrivere diventa “patire sulla pagina bianca: se hai vissuto abbastanza per avere qualcosa da dire, hai davanti una pagina bianca. Poi c’è una forma per dire la sostanza, una canzone, un racconto, una poesia, una drammaturgia.
Quello che hai scritto era una pagina bianca, è un modo di vincere la morte lasciando un segno, facendo un gesto che nega la scomparsa”.
E Giulio su questa pagina bianca scrive quello che vede e che sente quando la mattina esce e ascolta cos’ha da dirgli il mondo, quando si chiude la porta di casa alle spalle e va “a vivere, sporcandosi tutti i giorni”.
Il filo conduttore è “lo spavento che sento quando la mattina mi affaccio alla vita e tocco con mano lo stato delle cose, constatando a quale basso grado di ambizione, di aspirazione sia arrivato l’uomo occidentale contemporaneo. Se ci va bene così io soffro, e soffro ancora di più se mi rendo conto di essere l’unico che patisce per come abbiamo ridotto la vita, non solo rispetto a te stesso ma anche rispetto all’altro, rispetto al tuo ambito di lavoro, alla tua famiglia, alle tue ambizioni: allora mi metto dalla parte del torto e racconto io questa sensazione, ma lo faccio dal 92, e l’ho raccontata in 1000 modi diversi, con le canzoni, con le opere teatrali, persino con le interviste.”
Ci racconta questa sofferenza con la speranza e l’ottimismo di chi nonostante tutto è ancora lì a viverla e a parlarcene: “Se fosse tutto dolore e  delusione non sarei qui, ho un ottimismo e una vitalità che contraddice ogni mio ragionamento: il fatto che io sia in grado oggi, dopo vent’anni in cui ho avuto torto, di stare in piedi qui dentro, e ancora dire la mia, vuol dire che il mio corpo è più ottimista di quanto non lo sia la mia testa.
C’è qualcosa di molto più vitale che spinge, che preme, che mi dice di continuare a non mollare: ci sono molti miei fratelli, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison, Nick Drake, Jeff Buckley,  Kurt Cobain, Amy Winehouse, che hanno comunicato alla massa ma non sono riusciti a sopportare quel grado di pressione, che non è solo essere celebri, è la pressione di essere quel tramite dell’insoddisfazione generale.
Quando dici “non ne puoi più”, in realtà ne vuoi ancora: non è affatto vero che è tutto finito e che dobbiamo soccombere.
L’ultima considerazione la regala all’amore, a come dovrebbe essere l’amore per chi vive “dalla parte del torto”, non basato sui riti istintuali ed egoisti del godimento sessuale e del possesso di un corpo.
“Amore è crollare sulle ginocchia, non pretendere, non conquistare.
L’avere un corpo è troppo vicino al consumo.
Eravamo qui per lo spavento, per il conoscersi a vicenda.
È qualcosa di talmente grande che resto afasico, è una resa, è restare senz’armi…
Questa è una forma d’amore pura.
Rivendico che chi sta dalla parte del torto ha questa concezione dell’amore, la resa e non la conquista”.
Se questo significa essere “dalla parte del torto”, sapersi ascoltare e saper ascoltare gli altri, saper fare i conti con se stessi e con la propria integrità, saper vivere senza farsi sconti e senza farne a chi ci circonda, saper trovare la speranza nella disillusione, saper amare arrendendosi all’incontro di due anime e non solo di due corpi, allora quello “dalla parte del torto” è anche il mio posto.
Grazie Giulio.

a cura di Azzurra Funari

foto di Claudio Del Monte

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