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U.V. PØP – No Songs Tomorrow

1983/2012 - Flowmotion Records/Mannequin Records
new-wave/cold/pop

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Tracklist

1. No Songs Tomorrow
2. Portrait
3. Some Win This
4. See You
5. IC
6. Psalm
7. Sleep Don't Talk
8. Commitment
9. Arcade Fun
10. Hafunkiddies
11. Four Minute Warning
12. Superstition (bonus track)
13. Hafunkiddies (original version – bonus track)
14. Amsterdam (bonus track)

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Scorcio di un tipico paesaggio industriale di Sheffield: una clochard persa e stanca, con armi e bagagli putriscenti al seguito, seduta su di un esile marciapiede ed appoggiata ad un muro, triste maschera dello squallore suburbiano dell’ Inghilterra nei primi anni ’80.

L’indebolimento dei sindacati e la privatizzazione di enti prima di allora pubblici da parte del ferreo governo Tatcher non guarda con pietà nessuno, ne tantomeno si ferma ad aiutare i bisognosi.
Alla luce di questo e di tanti altri fatti in ambito post-punk non si può far altro che denudarci di tutti i nostri desideri fisici e gettarsi in maniera disperata alla ricerca del benessere spirituale. Ma tutto, oramai, sembra essere in rovina.
Gruppi come gli U.V. PØP lo hanno sempre saputo, ed è per questo che molti, come loro ( e magari anche prima di loro), si dedicarono ad un tipo di scrittura intensa, fragile, esoterica ed ambigua per quanto concerne l’ aspetto superficiale della musica ma decisamente riconciliante con l’ anima.
Produrre arte performativa, insomma, con lo strazio di chi porta nel cuore certe immagini, consapevole del fatto che un futuro non potrà mai esserci.

“No Songs Tomorrow” – prima uscita ufficiale per il gruppo capitanato da John White dopo le varie stampe di “Cellar Demos” – nasce proprio da queste situazioni decentralizzate, fuori dall’ occhio vigile della stampa che conta, più che dalla voglia di emulare l’ emergente spirito goth dei Sex Gang Children o il disastrato scalpore delle prose combat di stampo lo-fi, le linee lungo la quale si rivolgono più spesso le inclinazioni degli U.V. PØP, senza dimenticare ovviamente i nervosismi urbani di gente come Joy Division o Fall.
I membri del suddetto gruppo, all’ epoca di stampo forzatamente provinciale, difatti conoscevano perfettamente le ansie e le delusioni della working class media della città, perciò la loro proposta era volta interamente a riproporre con la cieca tristezza di un ceto sociale disilluso tutte le ingiustizie a cui erano sottoposti e le ribellioni a cui erano involontariamente indotti… Aprendo di sovente spazi sulla politica, le condizioni di chi lavorava nelle miniere e la guerra delle Falklands.
Altrettanto fondamentale per la riuscita di “No Songs Tomorrow” risulta l’ uso minimal dei synth in alcune parti ( come la caustica Sleep Don’t Talk, propriamente coldwave), allo scopo di “rianimare” in parte il mood avvilente e depresso delle parti folk, che ricoprono la quasi totalità del disco ( Some Win This è forse una delle più impressionanti, con il cantato che sembra evocare un muezzin ferito e deturpato volto a rimembrare le voci di una città rasa al suolo) e rappresentano la vera ragion d’ essere del progetto U.V. PØP.
In poche parole “No Songs Tomorrow”, sebbene perso nell’ enigmatico profluvio stilistico di un genere che dal punto di vista musicale ha vissuto senza ombra di dubbio vette migliori, è da considerarsi come una pietra miliare per il post-punk do it yourself, soprattutto perché con una strumentazione piuttosto comune e scarna riesce a richiamare alla mente dell’ ascoltatore emozioni di impatto, forti quasi quanto i temi che vengono trattati nelle liriche. Stiamo parlando insomma di un nome totale dalle parti dello Yorkshire, un culto fino ad adesso metropolitano a tutti gli effetti che rappresenta in tutto e per tutto la vera essenza del termine post-punk.

Un gruppo esploso, sebbene per soli pochi attimi, proprio quando tale corrente si andava disintegrandosi in mille altri generi, che da oggi grazie alla Sacred Bones ( autrice anche di piccole sorprese moderne come i Pop. 1280) – e in via eccezionale alla Mannequin, che distribuisce la ristampa in Italia – si spera non continui a rimanere “oscuro”.

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