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Julian Cope – Psychedelic Revolution

2012 - Head Heritage
psych/alternative/folk

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Tracklist

Phase of CHE GUEVARA
1. Raving on the Moor
2. Vive Le Suicide
3. Cromwell in Ireland
4. Revolutionary Man
5. As the Beer Flows Over Me
6. Hooded & Benign

Phase of LEILA KHALED
1. Psychedelic Revolution
2. X-Mass in the Woman’s Shelter
3. Roswell
4. Because He Was Wooden
5. The Death of Rock‘n’roll

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Alla faccia della “legge dei quaranta”, che vorrebbe veder confinato ad una carriera improduttiva ( qualitativamente parlando) e di basso profilo gli artisti che hanno già compiuto i quarant’ anni, Julian David Cope si ripresenta puntualmente con un nuovo album, “Psychedelic Revolution” (Head Heritage), che sembra avere tutta l’ intenzione di voler ribadire per l’ ennesima volta chi è stato, nell’ arco di un serio decennio o poco più, il degno interprete ad aver lanciato il pop di marca psichedelica, prima che band come gli Animal Collective riuscissero ad appropiarsi della sua antica formula e gettare le basi per le nuove frontiere elettroniche.

Proprio lui, la testa matta della Liverpool degli eighties – che di anni, per inciso, ne compirà cinquantacinque ad Ottobre, si getta nell’ impresa di un doppio concept, alla “vecchia maniera”, ispirato da Che Guevara per quanto concerne la prima parte e da Leila Khaled ( politica per il Fronte Popolare per la liberazione della Palestina che definire attivista è un eufemismo) per la seconda.
Un occasione più che mai per concentrare nell’ arco di un’ ora piena quegli ideali per cui Julian Cope ha strenuamente combattuto ed in cui ancora oggi fermamente crede: la rivoluzione per difendere se stessi ed il prossimo, innanzitutto, per poi rivolgere le attenzioni in maniera più dettagliata al tema della falsità delle religioni monoteistiche in generale.
Tutte questioni che il nostro aveva destato l’ impressione di voler concentrare già da “Citizen Cain’d” del duemilacinque, con annesso un progetto sonoro che prendesse in considerazione il mood sardonico ( e piuttosto malato, almeno nel suo caso) del cabaret new-wave e vari aspetti del progressive ( il concept, virtuosismi tastieristici distillati in maniera accentuata nella seconda e più squisita parte), privilegiando essenzialmente l’ ambiente acustico, o perlomeno limitando al minimo l’ intervendo di componenti elettriche.
Ebbene, possiamo senza dubbio considerare “Psychedelic Revolution” uno dei suoi titoli migliori da qualche anno a questa parte perché tali elementi sono per la prima volta collocati in un contesto tipico del miglior Cope, quello eclettico e non curante della parola normalità; le undici tracce del disco difatti lo mostrano pienamente a suo agio nel plasmare attorno al suo ego ( che include un’ infinita conoscenza, ma anche sempre i soliti limiti relativi al cantato e a diversi estremismi gratuiti), sobrio ed accattivante quanto basta per inanellare una serie di inni folk-psichedelici alienati ed alienanti, per un concept dal sapore più solare ed aperto, in controtendenza al suo comportamento – direttamente ispirato dall’ idolo Syd Barret – che lo vorrebbe isolato dal resto del mondo.
Definizioni che calzano perfettamente con la prima parte, spudoratamente spoglia di ogni orpello bolso e sinuoso, al fine di creare un’ atmosfera da dopoguerra rivoluzionario.
La componente medievaleggiante/celtica che prevale è dovuta alla trafila di strumenti non ordinari – si va dal mellotron 400 all’ oboe, ed è perfetta per trasportare l’ ascoltatore in una realtà “alterata” d’ altri tempi: Cromwell In Ireland e Revolutionary Man – ispirata dalla protesta anti G20 a cui lui stesso partecipò – sono ad esempio due tributi alla cultura irlandese, ma anche As The Beer Flows Over Me non scherza nel replicare fedelmente la solennità protestante degli inglesi.
E tuttavia, la potenza psichedelica risulterà decisamente debole per chi conosce già i capolavori a base di anfetamine ed eroina di Cope ( con “Kilimanjaro” e “Fried” in cima alla lista), non abbastanza però da ripugnare completamente piccole attrazioni frizzantine come Raving On The Moor, inno introduttivo di stampo cinematografico, o Vive Le Suicide, che con toniche staffilate di chitarra acustica wah si scontra con la nozione occidentale secondo la quale il suicidio per una buona causa sia giusto.
E mentre i paragoni con l’ eroe e l’ eroina a cui sono intitolati i due atti si avvicinano a nomi del calibro di Gesù e Malcolm X, la seconda parte accentua maggiormente le componenti wave e prog – nel primo caso aggiungendo eleganti sezioni di synth ( Psychedelic Revolution, X-Mass In The Woman’s Shelter), nel secondo aumentando a dismisura la componente folk ( Roswell, The Death Of Rock’n’Roll) – dimostrandosi spigliata, astratta e gradevole rispetto alle prime sei tracce, consolidando ulteriormente lo status di uscita da non sottovalutare.

A conti fatti “Psychedelic Revolution” non è da considerarsi per esempio distante dalle precedenti prove, anch’ esse essenzialmente acustiche, di Thurston Moore e J Mascis: dischi onorevoli che celano nella complicata semplicità la chiave per un discreto successo.
E per chi non ne avesse abbastanza con gli aneddoti dell’ arcidruido, all’ interno della versione CD vi aspetta un booklet di sedici pagine riempito da poesie e teorie sulla nuova arte di fare politica. Prendere o lasciare.

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