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AUSTRA – Spazio 211, Torino, 30 aprile 2012

L’hype che accompagna l’unica data nazionale degli Austra allo sPAZIO211 è quello delle grandi occasioni: dalla firma “blindatissima” con la prestigiosa Domino Records, che ha pubblicato l’anno scorso l’album d’esordio della band canadese, gli occhi internazionali sono puntati sul trio originario di Toronto e sulla carismatica front-woman Katie Stelmanis.

Prima di saggiare dal vivo la consistenza dell’ultimo fiore sbocciato sulla scia d’una vera e propria Toronto Calling (Arcade Fire, Broken Social Scene), siamo stregati dai languori sperimentali della giovane “cantautrice elettronica” (in qualche misura siamo dalle parti del cosiddetto electro-songwriting sdoganato ultimamente da James Blake, altro neo-“big” atteso a Torino in occasione del Traffic Festival) Heidi Mortenson, natali danesi, cinque album alle spalle (il primo nel 2006) ed un’aura (manco a dirlo) algida tanto quanto rasserenante, placida quanto disturbante, quieta eppure compulsiva. L’esibizione torinese palesa alcune “novità” rispetto al normale set-live dell’artista: ci aspettavamo una “onepieceband”, una Heidi in solitaria a destreggiarsi tra infiniti sampling vocali e un pianoforte a ricamare sospensioni liturgiche, invece ci troviamo di fronte ad un trio nel quale la Mortenson è supportata tra pedaliera e batteria proprio dai due componenti degli Austra, potendo dunque concentrarsi sulla performance vocale. Una timbrica particolare, che ricorda a tratti le bizzarrie del folletto islandese Bjork che tanto deve aver ispirato il mood musicale della Mortenson, si staglia su basi elettroniche strozzate, dimesse, che sanno pian piano arricchirsi di sapori inaspettati: dudstep orientaleggiante in sordina, gli Sigur Ros che si cimentano in una cover di Gonjasufi, un pianoforte straniante che vuole rubare la scena ai synth. Decisamente interessante dunque, l’esibizione di questa introversa ninfa metropolitana. Da approfondire.

Intorno alle 23 gli Austra salgono on stage, vediamo materializzarsi la folta chioma bionda della Stelmanis (un po’ ingiustamente a rigor del vero, la pur iconica vocalist, è l’unica a capeggiare sulla locandina del concerto…) e parte la costruzione (decisamente barocca!) di synth-drum machine-vocalizzi che abbiamo apprezzato nel debut-album “Feel it Break”.
Anche nel caso degli Austra la formazione live si allarga, arrivando a sei componenti: apparato elettronico ampliato e supporto di due coriste “danzerine” per la verità non troppo determinanti nell’economia dell’esibizione.
Si parte forte col beat narcotico di “Darken her horse” e arrivati alla più raggiante “Spellwork” i riferimenti obbligati ai pilastri Depeche Mode e Kraftwerk si mescolano al fantasma davvero onnipresente di un’altra chioma ormai celebre, quella rosso fuoco di Florence (and The Machine). Timbro (enfatico e quasi lirico), look (estroso, una collana gigantesca, davvero, a forma di cuore) e gestualità (enfatica, quasi spirituale-spiritata) della Stelmanis, ricordano parecchio i cerimoniali musicali della fata Florence (che da poco ha attestato in un dvd live unplugged le sue indubbie qualità canore con Machine).
Carismatica seppur non troppo “mobile” sul palco, la giovane vocalist festeggiava peraltro on stage il suo compleanno proprio la sera del live torinese: canzoncina d’auguri (rigorosamente voluta in italiano!) e applausi scroscianti per lei. (Curiosità: anche la bravissima tUnE-yaRd ha festeggiato il suo ultimo compleanno durante la tappa torinese del suo tour italiano!)
Il gioco al rimando può continuare all’infinito, unendo i puntini tra le gothic romances dell’ultima Zola Jesus, la claustrofobia di Fever Ray ma anche la freschezza tutta enfatica del Patrick Wolf di Lupercalia, per una band che sicuramente non inventa nulla ma riesce comunque ad entusiasmare per drammaticità e spettro di influenze cavate fuori già al primo disco.

Gli Austra convincono anche dal vivo (pochissime le sbavature): il loro electro-pop speziato dark-wave ha sicuramente più cartucce rispetto a molti epigoni e questo concede loro di permettersi qualche riempitivo in scaletta, peraltro comprensibile ad un esordio.
Quel che lascia ben sperare è soprattutto la capacità di fondere musica colta e dancefloor, con piglio disincantato ed una certa dose di umiltà (fa piacere vedere Katie, un minuto dopo la fine del concerto, dirigersi immediatamente al banchetto merchandising per parlare coi fan) ed è forse questa una delle chiavi per innalzare il gusto medio dell’ascoltatore.
Piccole-grandi sinfonie dell’Era facebook?

a cura di Lorenzo Giannetti

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