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BLACK LIPS – Circolo degli Artisti, 24 maggio 2012

Definizione di Hipster, tratta da Wikipedia: “designa giovani, di classe medio-alta, istruiti e abitanti dei grandi centri urbani, che si interessano alla cultura alternativa (o presunta tale) come l’indie rock, l’elettronica, i film d’autore e le tendenze culturali emergenti. Si professano ottimi conoscitori della lingua inglese e amano appropriarsi dei codici delle generazioni precedenti, ammantandosi di un caratteristico stile rétro. . Spesso lavorano nel mondo dell’arte, della musica e della moda, e rifiutano i canoni estetici della cultura statunitense e anche la sessualità predefinita. Non vogliono essere catalogati e eludono l’attualità. Le uniche religioni che tutti gli hipster riconoscono come tali sono i pantaloni attillati…”

Tanto per avere chiaro di chi si sta parlando. Il Circolo Degli Artisti, stasera, è strapieno di sta gente qua. Abiti stravaganti, finto sciatti, cappelli di paglia su pantaloncini improponibili, sembra di stare alla festa di gala di qualche giovane stilista finto trasandato. Io, con la mia felpina sfigata ed un paio di normalissimi jeans addosso, mi sento alienato ed alienante. Attendo l’arrivo del mio amico Armando bevendo compulsivamente birra doppio malto, ascolto i gruppi spalla distrattamente, è tutto svizzero, strapuntuale, molto poco rock’n’roll. C’è qualcosa che non va nell’aria. Doveva essere il concerto dell’anno, i Lips from Atlanta che ci avevano dato buca ad Ottobre, speranzosi di assistere ad un live con profluvi di piscio e sputi e nudità. Entrano puntualissimi alle 23 in punto: c’è qualcosa che non va. Armando se ne accorge prima di me, ha l’aria sofferente di chi vuole stare lì ma non vuole partecipare. I Lips ci danno dentro, non fraintedete: i vecchi classici (Dirty Hands, Katrina, Bad Kids, Sea Of Blasphemy) si affiancano alle nuove hits del recente Arabia Mountain (Family Tree, Raw Meat, New Directions). Zompettano, sudano, si alternano al microfono con molta energia, senza pause e come da copione. Mancano gli sputi, il piscio e il vomito (ed anche le galline) ma va bene così: non è un segreto che si siano ripuliti, è un processo che va avanti da Good Bad Not Evil, primo album per la Vice. I tempi dei dischi sguaiati e ultra-lo fi per la Bomp! Di Greg Shaw sono un lontano ricordo, e poi a noi sta bene così, non siamo mica snobbetti ultra nicchiosi del cazzo: Arabia Mountain è un gran disco, ripuliti o meno, Mark Ronson o meno, uno dei più belli del 2011. E allora? E allora il pubblico*. Distratti, vanno e vengono, parlano (urlano), ballano solo per far vedere che sanno ballare, il trionfo dell’hipsterismo acuto. Pochi sono lì per la musica (ci riconosciamo, ci scambiamo sguardi persi e vacui), il resto va appresso all’hype generato dalla band. La quale band forse capisce che non è il caso, e dopo appena un’ora (un’ora!) se ne va senza nemmeno salutare.

Con l’amaro in bocca usciamo fuori, ci scoliamo l’ultima birra e ce ne andiamo, che domani c’è da svegliarsi presto. C’è proprio qualcosa che non va.

*Unica nota positiva del pubblico, la numerosa presenza di fica.

a cura di Denis Prinzio

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