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Baroness – Yellow And Green

2012 - Relapse
hard/rock/stoner

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Tracklist

Disc 1
1. Yellow Theme
2. Take My Bones Away
3. March to the Sea
4. Little Things
5. Twinkler
6. Cocainium
7. Back Where I Belong
8. Sea Lungs
9. Eula

Disc 2
1 Green Theme
2 Board Up the House
3 Mtns. (The Crown & Anchor)
4 Foolsong
5 Collapse
6 Psalms Alive
7 Stretchmarker
8 The Line Between
9 If I Forget Thee, Lowcountry

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Spiazzante.
Così si potrebbe bollare il nuovo mastodontico (per lo meno in termini di minutaggio) doppio album degli americani Baroness. Se con quel piccolo miracolo che fu l’Album Rosso avevano stupito un po’ tutti, diventando l’alternativa più plausibile ai Mastodon, il successivo (questa volta Blu) aveva amplificato le influenze 70ies sia a livello musicale che a livello di suoni (per alcuni il vero punto debole di quel disco). Il nuovo lavoro, rappresentato di fatto da due parti, si tinge dei colori Giallo e Verde e ha già fatto parlare di sé nel bene e nel male.

Ad un primo ascolto si intuisce subito che tutto è diventato più acido e diretto, la maggior parte dei brani infatti ha una struttura semplice e abbastanza lineare, così come accade in “The Hunter” dei Mastodon. Così mentre “Take My Bones Away” rispolvera un certo stoner di kyussiana memoria in maniera forse un po’ banale, la successiva “March to the Sea” risulta un ibrido tra hard rock e bluegrass. Da segnalare ancora brani più pesanti come “Eula” con numerosi inserti di synth e tastiere, le più tirate “Sea Lungs” e “Little Things” che ricordano addirittura certi Thin Lizzy. Sono però le canzoni più atipiche quelle che convincono maggiormente: tra i pezzi migliori risultano infatti la strumentale “Stretchmarker”, “Twinkler” sorta di ballata corale sospesa tra voci e sintetizzatori dal pieno sapore anni ’60, la successiva e psichedelica “Cocainum”, l’aliena “Collapse” e una “Foolsong” sorretta ottimamente da chitarre liquide e struggenti. Sembra infatti che un certo tipo di acid folk abbia macchiato il sound della band fino a renderlo talmente irriconoscibile da risultare, come dicevamo a inizio recensione, spiazzante.
Questo succede soprattutto nel secondo disco, in cui tutto è più alieno e psichedelico, come nella stranissima e stupenda “Psalm Alive” e in “Mtns. (The Crown & Anchor)”. La band infatti sembra voler rendere più vario e fuori da determinati schemi il suono che l’ha contraddistinta, e nonostante qualche pecca (vedi ad esempio la voce che spesso risulta monocorde e poco espressiva), riesce nel suo intento. La produzione ad opera di John Congleton (Explosion In The Sky, Antony & The Johnsons e David Byrne tra gli altri) è corposa, calda e fa perfettamente il suo lavoro facendo da ponte tra nuovo e vecchio.

Detto questo, il modo migliore per avvicinarsi a questo “Yellow & Green” è lasciare da parte ogni legame riguardante i due precendenti dischi, pena la delusione più completa. Questo è un disco difficile, strano, spesso confuso e a volte irritante ma coraggioso, che brilla di luce propria. Sarà curioso vedere come in futuro la band di Savannah evolverà e perfezionerà le mille sfaccettature di questo lavoro, ma ora come ora il consiglio è quello di non snobbare o sottovalutate questo album (come feci io all’inizio) perché proteste innamorarvene. Oppure fuggire a gambe levate.

[youtube]https://www.youtube.com/watch?v=PZKPpeuHvJk[/youtube]

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