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Il Collezionista Di Ossa

Vampire Rodents, Chrisma: Il Collezionista Di Ossa #15

Camminando nei meandri oscuri dei magazzini di Impatto Sonoro ci siamo imbattuti in molti cadaveri, interessanti resti umani che il tempo ha dimenticato e che abbiamo deciso di riportare alla luce per non lasciare alla polvere tutte queste avvincenti storie. Afflitti dalle nostre turbe ci sentiamo un misto tra The Bone Collector e Karl Denke. Presentarvi direttamente il corpo non sarebbe abbastanza frizzante, pertanto ci siamo imposti che ogni numero di questa rubrica sarà composta da tanti piccole falangi tagliate che vi doneremo come pillole. Starà a voi seguire le tracce al suon di musica e arrivare goduriosamente al corpo del  reato.
“Mini-recensioni” di dischi finiti nel dimenticatoio, ristampe di glorie del passato, bootleg, archivi musicali e nuove uscite in formato musicassetta.
Dalla minimal wave all’industrial, passando per gruppi underground est europei, giapponesi e catacombe innominabili.

A cura di Vincenzo Lombino.

Vampire Rodents – Lullaby Land (Re-Constriction, 1993)
I Vampire Rodents non sono solo uno dei pilastri degli anni ’90, sono uno dei gruppi fondamentali di tutta la storia della musica.
Il loro Lullaby Land è una sorta di bignami in cui tonnellate di generi musicali e riferimenti tratti da ogni epoca si fondono con sapienza, dando origine a qualcosa che sta a metà strada tra la violenza di un album death-metal e la meticolosità di un’opera di catalogazione archivistica.
Una sorta di collage che a tratti sembra più anticipare il breakcore che rivoluzionare l’industrial.
L’apertura è affidata a Trilobite in cui distorsioni e jazz fanno a botte con la voce di Dan Gatto (Babyland) fino a sfociare in un’aggressiva house music.
In Catacomb la musica classica viene violentata da brutali riff di chitarre e una batteria serrata.
Crib Death è un brano con continui cambi di direzione al cui confronto le opere più riuscite di Venetian Snares sembrano realizzate da un dilettante.
Se Dogchild potrebbe essere un brano post-hiphop del 2012, in Gargoyles un’intro di pura avanguardia viene fatto a pezzi da urla e schitarrate funeree.
In Grace ingranaggi metal rinchiudono liriche robotiche in cinese, con qualche breve fuga nel comedy rock.
Tremolous è un brano onomatopeico in cui catene di tremolii vengono portate all’esasperazione.
Glow Worm è di nuovo un’invenzione di pura avanguardia in cui improvvisate surf vengono abbattute da chitarre pesanti.
La title track più che una ninna nanna è un campionario di incubi che pur rientando nella forma canzone la fa a pezzi.
Nessun brano è secondario e Dervish, Scavenger, Exuviate e Akrotiri proseguono un’opera che pur essendo omogenea si muove in ogni direzione e assorbe tutto come un buco nero.
Toten Faschist è un brano metal portato al di fuori del metal con le solite abluzioni di avanguardia.
Nosedive è un punk per compositori di inizi 900 e animali.
Bosch Erotique è un campionario di voci che potrebbe fare da colonna sonora alle opere infernali dell’omonimo pittore olandese, e preannuncia le bizzarrie sperimentali di “Hubba Hubba” e “Cartouche”.
Awaken è una piece orchestrale da brividi che sfocia nel delirante raga elettronico di “Raga Rodentia”.
A chiudere un’opera immensa e irraggiungibile l’ambient oscuro di “Passage”.

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Chrisma – Chinese Restaurant (Polydor, 1977)
I Chrisma – acronimo di Christina e Maurizio – nel 1977 danno vita ad una delle pietre miliari della musica italiana: Chinese Restaurant.
Sebbene sia il loro album di debutto, non si tratta dell’opera prima di due musicisti inesperti; Maurizio Arcieri è infatti noto come cantante e fondatore del gruppo beat New Dada ed ha alle spalle una solida carriera.
L’album esce nel 1977 per la Polygram, prodotto da Nico Papathanassiou, fratello di Vangelis, e si narra che lo stesso compositore greco ne abbia fatto parte, nonostante non vi siano mai state conferme in merito.
Si parte dalla strumentale “Thank You”, per arrivare subito ad uno dei loro brani più noti “Black Silk Stocking”, a cui segue il suadente singolo “Lola”.
“C-Rock” ripete ossessivamente lo stesso verso per più di 5 minuti, mentre “What For” conferma – se ce n’era bisogno – che le influenze di quest’opera vanno ricercate oltre i confini dell’Italia. In Wonderlust vengono casualmente in mente Bowie, Iggy Pop e Tuxedomoon. Mentre in Lycee le voci del duo italo-svizzero si appoggiano soavemente su un tappeto sonoro delicato e malinconico che sfocia nella più orecchiabile Mandoia. Nel finale un elenco di nomi e di ringraziamenti si cuce magicamente con il brano strumentale già presente come intro dell’album stesso.
I Chrisma non hanno mai raggiunto in Italia la fama e la reputazione che avrebbero meritato e piange il cuore nel pensare che se non sono ancora stati del tutto dimenticati gran parte del merito vada a Amanda Lear, Chiambretti, Red Ronnie e Subsonica. È inoltre interessante notare che nel loro terzo album il duo divenne in qualche modo un trio, con la stabile collaborazione di Hans Zimmer, che forse vi ricorderete per un centinaio di colonne sonore.

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