Ciò che non si può togliere ai Muse è il coraggio. Ne hanno avuto pure troppo. Negli ultimi dischi hanno inserito talmente tante diverse influenze (i Queen, il synth pop, persino l’RNB) e solo ogni tanto si riusciva a sentire il tocco di Matthew Bellamy, soprattutto nell’ultimo “Resistance”.
Probabilmente in preda a una febbre da “lascia o raddoppia”, la band di Teignmouth, Devon, è andata fino in fondo proponendo con “The 2nd Law” un lavoro che abbraccia le tendenze dell’elettronica più attuale (ovvero la tanto amata/odiata dubstep commerciale à la Skrillex) e un’attenzione sempre maggiore per le orchestrazioni.
Il disco si apre con “Supremacy” che mescola il gusto chitarristico dei primi lavori della band (simile allo stile di Tom Morello dei Rage Against The Machine) con un arrangiamento per archi pomposo a dire poco, creando un mix di stili troppo estremo. Poi è il turno della dubstep, con “Madness”, uno dei peggiori loro singoli di sempre: lineare, con un beat “truzzo” e poco tiro. “Panic Station” invece è la sorpresa del disco. Ha una parte di basso incisiva, una sezione di fiati particolare e un cantato che, pur echeggiando i Queen, si dimostra riuscito.
Con “Survival” si torna invece alle pesantissime orchestrazioni di “Supremacy”, con in aggiunta dei cori baritonali (?!?) fuori da ogni gusto e un testo banalissimo. Sui testi c’è da aprire un capitolo a parte: se già in “Resistance” le atmosfere antiutopiche e politiche delle lyrics sembravano forzate e pesantemente riciclate, ora in “2nd Law” Bellamy oscilla oltre ai temi citati anche fra un romanticismo stanco e stucchevole (“Save me”, “Follow me”) e un ambientalismo francamente incomprensibile (“Unsustainable”).
“Follow me” e “Big Freeze” spostano la band verso territori alt.rock mainstream non particolarmente interessanti. “Animals” invece conferma a quasi 15 anni di distanza dal primo disco l’amore della band per i Radiohead di “Ok Computer”, e risulta molto piacevole. Invece le già citate “Big Freeze” e “Save me” (scritta dal bassista Chris Wolfstenholme) hanno un sound Muse classico, ma non incidono.
Il disco prosegue con “Liquid State”, un punk rock evitabile, e termina con la title track, divisa in due parti. “Unsustainable” è il tanto discusso pezzo con il bass drop dubstep, e si rivela di una pochezza semplicemente incredibile. La seconda traccia “Isolated System” (un alt.rock strumentale) invece è molto buona.
Viene da pensare che la band sia musicalmente finita: le troppe sperimentazioni e il calo globale di ispirazione lasciano poco spazio a un possibile pensiero di ritorno alle passate grandezze di dischi come “Origin of Symmetry” e “Absolution”. Un disco che è un buco nell’acqua.
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