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Public Enemy – The Evil Empire Of Everything

2012 - Enemy Records
hip-hop

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Tracklist

1. The Evil Empire Of
2. Don’t Give Up the Fight (feat. Ziggy Marley)
3. 1 (Peace)
4. 2 (Respect) (feat. Davy DMX)
5. Beyond Trayvon
6. Everything (feat. Gerald Albright & Sheila Brody)
7. 31 Flavors
8. Riotstarted (feat. Tom Morello & Henry Rollins)
9. Notice (Know This)
10. Icebreaker
11. Fame
12. Broke Diva
13. Say It Like It Really Is

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Negli 80s il germe dell’hip hop era stato ormai inoculato in ogni ghetto degli Stati Uniti, aveva da tempo preso piede ovunque con la diffusione di album-manifesto di diversi artisti, dosi massicce di live e trovate pubblicitarie. I Public Enemy, cardini dell’hardcore e political rap, si inseriscono in questa fase e non se ne può parlare ignorando il contesto nel quale nascono e crescono; cosa hanno rappresentato per lo sviluppo della scena underground, quanto hanno fatto la Storia. Nonostante ciò, puntualmente, quando si rimettono in gioco band di questo spessore, si aprono spontanei dubbi, soliti, ovvi ma doverosi (di Rolling Stoniana memoria, per intenderci, ndr), su quanto sia rimasto ancora della carica e del talento degli albori, raggiunti i 30 anni di carriera; quanto lo si faccia ancora con gusto e quanto per i dollari. I Nemici Pubblici, per fortuna, sapientemente zittiscono le male lingue con un album, questo, dove si mostrano fedeli a ciò che sono stati, mantenendosi, per grandi linee, sulla stessa lunghezza d’onda di sempre: strumentali scarne e regolari, liriche aspre e politicamente impegnate, loro marchio di fabbrica; facendo ancora una volta di ogni parola un’arma affilata. Il rap come strumento di sovversione. Accusarli di essere diventati commerciali, nel loro caso, sarebbe inverosimile: certo è che sono ben distanti dallo scalare le charts al fianco di Lil Wayne e soci, con le loro donne di plastica nei video, le basi tamarre da discoteca e i ritornelli a dir poco imbarazzanti..

“The Evil Empire of Everything” segue a ruota “Most of My Heroes Still Don’t Appear on No Stamp”, fuori da luglio 2012, entrambi pubblicati a 5 anni dal precedente, non eccelso, “How You Sell Soul to a Soulless People Who Sold Their Soul?”, 25 dal primo LP ed, infine, 30 dal loro debutto. Una doppia uscita celebrativa, due lavori, collegati da un filo sottile, che spezzano il silenzio discografico, definiti dallo stesso Chuck D “gemelli, ma non identici” o anche “due affermazioni coincise unite nello stesso respiro”.
Con questa doppietta torna il rap radicato nel sociale, inteso come servizio pubblico fornito alla gente, molto più veritiero della politica, corrotta e degradata; con uno sguardo sincero alla realtà ed un rhyming schierato e viscerale nei contenuti, semplice nella forma ma complesso nella metrica. Chuck D è sempre un peso massimo nel mestiere di incastrare rime e lo si vede dalle prime battute:  “Don’t Give Up The Fight” (prosieguo di “Get up Stand up” presente in “Most of My Heroes Still Don’t Appear on No Stamp”) è un chiaro omaggio a Bob Marley dalla scelta del titolo, al tema di denuncia, finendo al featuring con Ziggy Marley; risulta uno spreco, però, il mancato sfruttamento delle doti canore del figlio del re del reggae, relegandolo ad un breve ritornello. Allo stesso modo la strumentale, formata dal sample ripetuto di riff di chitarra in levare, non convince, e il brano scivola via in  maniera un po’ macchinosa e non del tutto lineare. Decisamente si risollevano con il beat graffiante e il gioco di batteria nella successiva “Peace”, approdando allo scratching convulso e il beatboxing ossessivo di “Respect” (prod. Davy DMX, direttamente dai late 70s..e qui si scavano veramente i cadaveri..). Scomodano il sassofonista jazz Gerald Albright e la vocalist Sheila Brody per un riuscitissimo lento intitolato “Everything”, dalle morbide tinte soul ed i raffinati echi rhythm and blues. Sufficiente spazio viene dedicato stavolta agli ospiti, gli assoli di sax ed i virtuosismi vocali della cantante, e l’album, impreziosito dai featuring, prende definitivamente la piega giusta. Un ultimo omaggio arriva con Riotstarted, in collaborazione con Henry Rollins (Black Flag) e Tom Morello (RATM), dedica crossover alla parentela tra funk, hardcore punk e metal ed all’unità d’intenti che li accomunano. A pennello il solo di chitarra accompagnato dallo slogan rivoluzionario proclamato più volte con il classico tono stentoreo della voce (“Mind Revolution-Our solution\ Mind over matter-Mouth in motion”).

I Public Enemy sono affezionati figli degli anni 80 e non sanno staccarvisi; “The Evil Empire of Everything” è un tuffo nel passato, un nostalgico riassaporare quelle ambientazioni con qualche nuovo spunto che riaffiora qui e lì durante il piacevole, se pur non glorioso, ascolto. E poco importa se ci saranno gli haters pronti ad affermare che non hanno saputo rinnovarsi, poiché, tutto sommato, non hanno tutti i torti, ma una bacchettata old school sulle mani del 90% degli scapaci e ricchissimi rappers americani odierni non stona affatto. Un gruppo di ultra 50enni che manda a casa tutto l’attuale hip hop commerciale ed il suo olezzo stereotipato, e che paragonato fa’, incredibilmente, risultare fresco e genuino il sound di 30 anni fa.
E poi, del resto, non erano al passo coi tempi negli anni 90, figurarsi oggi…

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