Scrivere qualcosa su un disco così non è facile, tanto c’è da dire, e potrebbe non avere altra utilità che spingere all’ascolto di un album che ridona, dopo 30 anni di quasi silenzio, i Confusional Quartet all’Olimpo dei musicisti italiani.
Si apre con “Futurfunk”, primo singolo pescato tra gli undici pezzi, e già si potrebbe credere di nuovo nell’amore: ricorda i Calibro35, con un unico spunto di voce che si sentirà per tutto l’album, ma ne sono ben distinti.
E poi non si capisce, comincia tutto all’improvviso e si finisce in mondi uguali e diversi, tutti stupendi, tutti nei quale vale la pena perdersi se cullati da note di questo livello; i ritmi blues, funk, rock, tribali, che fanno muovere e emozionare. La batteria e la tastiera che fanno tutto, ma tutto tutto tutto, la chitarra che passa dal tenere in alto i cuori a forza di schitarrate che più rock di così non si può e distorsioni lancinanti, il basso che c’è, sempre e per sempre, che si fa notare come non succedeva da tempo immemore, che non rimane schiacciato in un angolo ma spinge per farsi strada, senza opprimere.
E poi ancora le melodie che conquistano, che rendono cupi, che proiettano da un thriller psicologico al migliore dei videogiochi a cui abbiate mai giocato, toccando i picchi della psichedelia e della musica 8-bit, senza mai dare l’impressione che qualcosa che sfugge dalle mani dei Confusional Quartet non sia stato preparato a dovere.
Un’apoteosi di musica, senza nient’altro, senza che serva nient’altro.
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