Sempre affidabili i Bad Religion. Sempre efficienti e riconoscibili. E’ come quando compri una marca di detersivo perché sai che è quello che rende al meglio. Se conoscete un gruppo che, portando avanti la bandiera dell’hardcore-punk, è riuscito a cavalcare al massimo della velocità dal 1979 fino ad oggi (una breve pausa se la presero tra il 1983 ed il 1984) sicuramente è perché venite da un’altra galassia.
True north è il vero e pieno ritorno dei Bad religion, è la loro rivincita sulle “nuove leve” che se ne vanno a zonzo sputtanando la parola “punk” e la rivalsa su nomi altisonanti del punk che, da anni ormai, stanno suonando merda a nastro da primato della produzione industriale. Siamo di fronte ad un fenomeno non solo musicale, che conosce bene i Bad Religion sa benissimo che la loro musica è efficace soprattutto perché riesce nel difficilissimo compito di coniugare ritmiche hardcore con profondi testi di protesta come in Crisis time, Land of endless greed e la quasi profetica Popular consensus, il tutto combinato con un’attitudine melodica nell’uso dei cori che fa invidia all’intero mondo dell’hardcore melodico. Hanno praticamente preso una laurea in questo campo e la particolare voce di Greg Graffin è ormai un segno riconoscibile praticamente ovunque. Il disco, il sedicesimo della serie, è una passeggiata di 16 brani “di rappresentanza” dell’hardcore punk, se si fa eccezione per i quasi 4 minuti di Hello cruel world, ed è qualitativamente quanto di meglio ci si possa aspettare da una band “di genere” come loro. Sono comunque lontani i tempi di Suffer e No control, ma sono da salutare con un lunghissimo applauso i raffinati ed affilatissimi riff delle chitarre di Brett Gurewitz e di Greg Hetson. Non mancano, ovviamente, gli episodi di pura violenza sonora che si accompagnano al classico 4/4 della batteria come nel caso di My head is full of ghosts e Changing tide ed è, forse, proprio in questi brani che si riscontrano le più mature capacità del gruppo, che riesce a dotare di senso una canzone senza dover per forza ripetere all’infinito “fuck the world!”. Sono certamente ambiti di difficile comprensione per un quindicenne che si avvicina al punk o più in particolare all’hardcore, ma sono di una qualità così superiore da far invidia anche al più strafatto dei Jim Morrison.
I Bad Religion sono arrivati lì dove pochi altri sono riusciti ad arrivare, costruirsi una credibilità ampia, che non coinvolge cioè solo i malati di punk, ma che più in particolare abbraccia un gran numero di categorie di ascoltatori di buona musica. Ottime strutture sonore, testi pieni di senso, rabbia immutata nel tempo; vorreste privarvi di tanta grazia? Per carità, no!
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