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Interviste

Intervista a L’OFFICINA DELLA CAMOMILLA

Siamo andati a scambiare quattro chiacchiere con L’Officina Della Camomilla, ultima scoperta di casa Garrincha Dischi, in occasione del loro concerto romano del 19 gennaio 2013 a Le Mura.

Intervista a cura di Serena Lucaccioni.

Banale: perché proprio “L’officina della camomilla”? E come vi è venuto in mente?
Non esiste un perché, inventiamo una storia diversa ogni volta.
Francesco: La storia vera è brutta. Un giorno stavo camminando per strada e ho visto un’insegna con scritto Officina di Bacco e mi piaceva. Poi stavo guardando un film e la protagonista si chiamava Camilla, e allora è avvenuta una fusione nel mio cervello; c’è stata un’evoluzione: sono passato da Officina di Camilla e poi sono arrivato ad Officina della camomilla.

Come mai nei vostri testi ci sono spesso richiami ad immagini macabre?
Perché è bello fare degli ossimori. Inoltre, ci son sempre due lati in tutte le cose. Può essere bello associare delle cose violente a delle cose dolci, suscita reazioni strane negli esseri umani, sicuramente perdi coscienza, perdi di vista il punto.

Perché Lulù deve studiare Marc Augè?
Perché è una cassiera gabber diciassettenne che si perde nei non-luoghi. Se studiasse Marc Augè potrebbe esser meno sola con sé stessa; è una canzone sull’adolescenza, sul non saper dove andare, sul cercare delle direzioni. Semplicemente lei è una ragazza che si perde al Brico Center, si perde al parco giochi, ed è sola e riflette sulla sua “gabberitudine”.

Qual è e come è stato per voi il momento in cui avete iniziato a capire che la vostra musica poteva effettivamente piacere ad un buon numero di persone?
È successo in modo molto casuale, mettendo musica su youtube, alcune persone si sono appassionate, e alla fine si son creati dei fan.
La conferma non ti arriva mai, perché comunque in una città c’è molta gente, in un’altra poca, e non sai esattamente come va. Col disco sicuramente stanno arrivando più persone sia ai live che sui social, perché siamo fondamentalmente più esposti. Il momento della verità sarà il disco a questo punto, dopo quello vedremo se ci sarà effettivamente un gradino su cui salire.

In una vecchia canzone facevate dell’ironia sul fatto che in Italia “i dischi te li fai da solo”, sottolineando il vostro odio per le etichette, comprese quelle indipendenti. Come avete cambiato idea, decidendo di suonare con/per Garrincha Dischi?
Non abbiamo cambiato idea, semplicemente Garrincha è un’etichetta casalinga. Abbiamo registrato in casa di Matteo Romagnoli che ci ha messo a disposizione una strumentazione decorosa e ci siamo un po’ tecnologicizzati.

L’aspetto fantasioso e surreale delle canzoni è un modo per fuggire dalla realtà o per esprimerla come la vedete voi?
Entrambe le cose, però più per fuggire. Sempre per fuggire. “Escape to” è un concetto chiave.

Qual è, secondo voi, l’aspetto migliore del fare musica live?
Suonare in giro, fare dei tour, ma soprattutto il fatto che ogni volta che suoni è diverso. Come suoni è diverso, il pubblico è diverso, le emozioni sono diverse. Non c’è mai niente di banale.
E poi è anche bello stare tanti giorni assieme, nascono delle belle cose tra di noi.

Che definizione dareste di voi e della vostra musica ad una persona che non conosce quello che fate?
Musica malata per gente che non sta bene.
Una volta ci hanno definito indie rap, infatti ogni volta che andiamo a suonare abbiamo la curiosità di sapere che definizione c’hanno dato.

Senontipiacefalostesso è un titolo che si trova al confine tra la modestia e il paraculo. Quale dei due aggettivi pensiate vi si addica meglio?
In realtà è il titolo di una canzone d’amore, quindi assume tutto un altro significato.
Anche se c’è da dire che tanti ci criticano, quindi può essere anche rivolto a loro come provocazione.

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