Con una carriera ormai trentennale alle spalle i Pere Ubu non hanno ovviamente più nulla da dimostrare a nessuno, in termini di valore e significatività artistica. Eppure, fortunatamente, la band del gigante buono David Thomas non ha mai smesso di lavorare con intensità e lucidità nel solco art-punk sperimentale tracciato sin dai fondamentali esordi new wave di “The Modern Dance” (1978).
Curiosamente è proprio il termine dance a ricorrere sovente nelle descrizioni promozionali di questo nuovo “Lady From Shanghai”, sebbene, alla luce dei fatti, tale accezione stilistica sia del tutto fuorviante. A dispetto di un sempre fitto comparto elettronico, noise e sintetico, le inclinazioni e le declinazioni, sia ritmiche che liriche, di Thomas hanno ben diversa forma e fattura, ricadendo sempre e comunque all’interno del cappello post-cabarettistico, minimale e destrutturato, che gli è da sempre proprio.
Lo spirito teatrale da cui il progetto Pere Ubu è nato (la pièce “Ubu Roi” del francese Jarry) è sempre sua parte integrante e ineliminabile, come esemplificano la triste (auto)ironia di “Musicians Are Scum” e “Lampshade Man” (memore di un certo Captain Beefheart), gli istrionismi di “Feuksley Ma’am, The Hearing” e i rumorismi della conclusiva “The Carpenter Sun”.
Disco ipnotico e inquieto, come una personale odissea spaziale (cfr. artwork) “Lady From Shanghai” è maturità artistica senza tranquillità interiore, che produce una positiva tensione costante verso la dimensione più grottesca e surreale dell’intellettualismo, laddove inizia e finisce il movimento di trasfigurazione della realtà dei Pere Ubu, sempre sinceri, sempre piacevoli, anche quando non sfornano per forza di cose dei capolavori fondamentali, ma “solo” dei buoni dischi.
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