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Interviste

Intervista ai FUZZ ORCHESTRA

Niente giri di parole e niente mezzi termini: Morire per la patria della Fuzz Orchestra è più o meno il disco italiano del 2012, e non solo perchè c’è un pezzo dal Giordano Bruno di Montaldo con la voce di Gian Maria Volontè, che fa un sacco sesso (in Sangue, ndr). Il 28 dicembre scorso li abbiamo sentiti live al Depistaggio di Benevento, e dopo esserci gasati a sentire pezzi dall’ultimo disco dei Converge e bere birra, abbiamo intervistato Luca Ciffo, alias il guitar man del gruppo, e vi promettiamo che abbiamo parlato di cose più serie rispetto a “quanto fa sesso la voce di Volontè”.

Un discone, complimenti. Bello bello bello, mi è piaciuto un sacco. Raccontaci la genesi.
L: E’ stata abbastanza lunga, considerando che il nostro disco precedente è del 2009. Poi siamo stati parecchio in giro, mentre iniziavamo a lavorare sui pezzi nuovi. Abbiamo cominciato a suonarli col vecchio batterista, quattro li facevamo già live. Quando è arrivato Paolo (Mongardi, già Ronin, Zeus e Fulkanelli ndr), i pezzi che avevamo hanno preso tutta un’altra forma, e ci siamo dati un po’ una mossa, abbiamo tirato fuori gli altri tre pezzi. Nel complesso è un disco con pezzi più vecchi e pezzi nuovissimi.

Parliamo del titolo. Non so per quale motivo mi ha fatto pensare alla storia dei Marò.
L: Beh, anche.

A parte le mie elucubrazioni personali, voi perchè lo avete scelto?
L: Prima di tutto perchè è una frase estratta dall’ultimo pezzo del disco, viene ripetuta varie volte, è un po’ uno slogan. Poi è chiaro che per noi è da vedere in chiave di antitesi al significato letterale di quella frase: avremmo potuto aggiungere qualcosa come “E’ stupido morire per la patria” come sottotitolo. Poi in realtà ieri ci hanno dato un’altra definizione, un ragazzo ha detto “Si, okay, morire per la patria, ma bisogna scegliere quale patria”, e potrebbe essere un’altra buona interpretazione, anche se non ci avevamo pensato.

Io l’avevo letta come “Morire per (colpa della) patria”
L: Anche. A me per esempio è venuta in mente la storia dell’Ilva, di questi poveracci che pur di lavorare -almeno alcuni di loro- sono disposti a farlo in condizioni totalmente dannose per la salute. Poi c’è un significato un po’ più sottile: morire rispetto al proprio modo di essere e alle proprie abitudini per rinascere e rinnovarsi in qualche modo. Ci sono tanti significati che si possono cogliere, non è univoco.

Secondo me tirare un disco così dopo un cambio di line-up non è così scontato. Come si è sviluppata l’alchimia con Paolo?
L: Con Paolo giriamo da un anno e mezzo. E’ stato un processo abbastanza facile, fortunatamente ci siamo trovati su tutti i livelli, non solo quello musicale, anche quello personale. Più che altro, il nostro dubbio su un batterista nuovo, su un membro nuovo era proprio il piano personale, perchè noi suoniamo insieme dal ’95 – non come Fuzz Orchestra ma come Bron Y Aur, il nostro gruppo precedente – quindi eravamo abituati a girare e suonare sempre noi tre, e il cambiamento faceva un po’ paura. Però le cose sono andate così e non ci poteva andare meglio

Musica e militanza. Come ha influito il vostro percorso politico sulla vostra storia musicale?
L: Sicuramente si sono influenzati a vicenda in maniera abbastanza determinante. Tutte le cose che diciamo, i contenuti dei nostri dischi, sono cose che fanno parte del nostro DNA, della nostra storia, delle cose di cui siamo convinti. E’ stato un processo abbastanza automatico. Anzi diciamo così, il gruppo precedente, era totalmente strumentale, quindi non c’era l’occasione, e magari anche l’esigenza, di dire delle cose. Poi in questa nuova situazione, ci è sembrato naturale tirare fuori le cose che sentiamo tutti i giorni, quelle che ci stanno più a cuore

Secondo te la situazione sociopolitica italiana attuale, influisce in qualche modo sulla scena musicale?
L: No, sono due cose abbastanza distaccate. E’ chiaro che magari quello che succede può dare spunti agli artisti, ma a livello concreto non vedo una grande correlazione diretta tra le due cose. Magari altrove la musica viene incoraggiata di più, però forse da un lato, il fatto di avere un governo ostile, sotto un certo punto di vista, fa sì che ci si impegni di più.

Del resto, il fatto che Lo Stato Sociale e il Teatro degli Orrori siano considerati il massimo della musica militante in Italia, la dice lunga…
L: Beh, si, esistono un sacco di realtà più underground che dicono le cose in maniera più incisiva, e meno friendly

Voglio la tua Top5 del 2012, va di moda.
L: Faccio un po’ di fatica perchè non ascolto tantissima musica nuova, a parte i concerti che organizziamo al Torchiera (centro sociale di Milano, ndr). Tra i dischi italiani veramente belli dell’ultimo anno, c’è quello di Paolo Cantù, Makhno, e poi mi è piaciuto un sacco Odio i vivi di Edda, e poi di cose nuove non ho ascoltato tanto altro.

Sulla Top5 del 2012 ci siamo lasciati coi ringraziamenti e un’altra birra. Il live è iniziato circa un’ora dopo, prima della Fuzz c’era il suddetto Makhno e il mio commento è stato qualcosa tipo “Ehi, era più o meno da Stanze dei Massimo Volume che non sentivo una roba così, figo!”. Il resto è stato tutto intenso, fuoco e fiamme, e magari in parte era per via delle svariate birre, ma faceva caldo anche se era il ventotto dicembre. Comunque, lasciamo che a raccontarvi la serata meglio di quanto non riesca a fare io, siano le foto.

Intervista: Eve Blissett
Foto: Griet (Greta Capozzi)

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