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Interviste

Intervista a BRUNORI SAS

Cantautore abb. apprezzatissimo a livello RockIt e similari, a noi Brunori Sas sta sinceramente simpatico e ci piace un sacco, davvero.
Soprattutto per la sua carriera parallela di produttore di cioccolate calde.
L’abbiamo incontrato per un paio di domande.

Quali sono gli aspetti difficili del cantautorato?
Devo dire che non ho particolari difficoltà, quello che faccio mi viene naturale. Non sono molto prolifico, ma naturale. Naturalmente pigro, ecco. Non ho nessuna difficoltà a scrivere poco, mettiamola così.

A proposito di quello che hai scritto, nel Vol.2 ti sei dedicato ai Poveri Cristi, raccontando storie di persone meno fortunate. Come è nata questa empatia verso di loro?
In realtà non volevo scrivere di persone sfortunate. Non volevo fare un ritratto drammatico, la cosa era più collegata all’idea di raccontare delle storie; Delle storie che, innanzitutto, non riguardassero direttamente me, e poi comunque volevo raccontarle con un filtro ironico, beffardo. Un qualcosa che resti cinico, ma che si viva col sorriso. Anche perché alla fine uno nel raccontare delle storie, racconta e si racconta. Siamo poveri cristi anche noi che ascoltiamo, possiamo rispecchiarci. In generale, cercavo di creare un senso di collettività.

Quello che scrivi è influenzato dalle tue origini?
Indubbiamente, qualsiasi cosa che uno fa è un prodotto di influenze. Che poi uno ne abbia consapevolezza o no, quello è un altro discorso. Sicuramente in quello che faccio c’è l’influenza del posto in cui vivo, delle persone che ho conosciuto e che conosco, delle cose che ho ascoltato e che ho visto. Io sono un prodotto di influenze esteriori, e quello che viene fuori è una rielaborazione di questo software che ho in testa. Per cui potrei dirti : “sicuramente, sì”. Ma non so dirti in che percentuale.

Le tue canzoni sono un po’ distaccate dall’attuale generazione, sono sicuramente un po’ retrò. Come credi che la mia generazione reagisca davanti a questo? È affascinata o allontanata?
Secondo me la storia è un pretesto. Se una persona riesce a intravedere quello che c’è nel testo, può raccontare una storia ambientata anche nel Medioevo. Voglio dire, quando ad esempio De André racconta di Carlo Martello che ritorna dalla battaglia di Poitiers, ti da l’idea lampante delle forme che si mantengono aldilà delle epoche, della sostanza di alcune dinamiche della vita che non cambiano.
Quindi io posso raccontare una storia che, più che altro per una facilità di comunicazione, è ambientata in un determinato momento. Se io parlo in “Rosa” di un emigrante che è più vicino a quello degli anni ’70 che a quello di oggi, lo faccio semplicemente perché è talmente comune come figura, talmente stereotipata, che mi da la possibilità di entrare subito in comunione con chi ascolta.

A cosa stai lavorando ora?
Adesso sto cercando di lavorare a delle cose nuove. Ho voluto cambiare modo di scrivere, ho cominciato a suonare il pianoforte, anche se con molti limiti. Mi piace proprio il fatto che, siccome non lo so suonare, facendo degli errori mi vengono fuori delle cose che invece alla chitarra non saprei fare. Magari metto le mani a caso e faccio venire fuori qualcosa di diverso. Poi, con i ragazzi della band siamo tornati a fare un po’ di prove vecchio stile. Suoniamo un po’ in sala e vediamo cosa viene fuori.

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