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Intervista a FLAVIO GEMMA

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Non avrei mai immaginato sarei finito a lavorare con Flavio Gemma. Eppure la vita è assurda, allora ne ho approfittato per fargli una bella intervista per Impatto Sonoro. Un viaggio nel cuore pulsante dell’underground italiano dai Viridanse ai Peggio Punx fino ai suoi nuovi DeLaVega.

A cura di Fabio Marco Ferragatta.

Cominciamo quest’intervista con una non-domanda: breve storia di Flavio Gemma
Anzitutto vi ringrazio. Non mi far partire dall’antichità però. Fondo nel 1980 i Blaue Reiter diventati poi Viridanse, che è stato nello specifico gruppo più votato nell’85 come gruppo indipendente italiano registrando due dischi, uno “Benvenuto Cellini” e l’altro “Mediterranea” per la Contempo che era una delle etichette di punta in Italia, ma non stiamo qui a far la loro storia. Dopo la prima compilation per Rockerilla come Blaue Reiter seguì Viridanse fino all’86. Da lì in poi il disco “Alterazione della Struttura” con i Peggio, primo disco non autoprodotto dei Peggio Punx, per la Wide Records, poi ancora una formazione…math metal, chiamiamolo così un po’ in stile Helmet, Prong ancora con Alberto Pisani che era il cantante dei Peggio, chiamata C.O.D.E.X., anche questo licenziato per la Contempo e distribuito dalla Emi nel ’92, andiamo sempre a ritroso poi andiamo avanti, dal ’93 al 2001 con Urbanatribù, un combo di musica elettronica con Massimiliano Bocchio e con cui abbiamo licenziato diversi dischi per Minus Habens e altre etichette del panorama dell’avanguardia elettronica per poi approdare negli ultimi 4 anni alla BMG Ricordi e lì fino al 2001 lavorando con Roberto Vernetti (ex bassista degli Indigesti ora produttore di alcuni tra i più famosi cantanti italiani ndr), producendo più che altro, nell’ultimo periodo soprattutto, remix di big della musica italiana. Dal 2001 ho dismesso i panni di musicista per fare il dj per cinque anni, avendo conosciuto Francesco Zappalà nell’ambito techno. Oggi ho ripreso a suonare con DeLaVega che è una realtà più conosciuta al di fuori dai confini italiani, stiamo collaborando con lo scrittore canadese Kenneth J.Harvey, che qui da noi viene pubblicato da Einaudi, inoltre regista di cortometraggi, cortometraggi per cui stiamo producendo musica, presentati in vari festival internazionali di cinema, siamo io e Giancarlo Sansone e facciamo musica attraverso l’immagine.

Prendiamo dunque una parte di questa storia, quella che potrebbe interessare ai “curiosi dell’hardcore”, come è nata la collaborazione coi Peggio, perchè ti hanno contattato, come si è evoluta nel tempo fino a sfociare nel disco “Alterazione della Struttura”?
Beh, con molta dovizia e molta sobrietà, visto che ora i Peggio Punx si sono ritrovati con questa reunion, dopo i concerti dell’anno scorso han fatto un ottimo lavoro con l’uscita di questo loro nuovo cd..successe che, a cavallo tra l’88 e l’89 mi chiesero se volevo far parte della loro formazione in quanto volevano cambiare un poco il tiro musicale, allora iniziavano ad uscire le prime formazioni crossover come Rage Against The Machine o Living Colour, fui contattato da Marco, il chitarrista, perchè l’idea era quella di fare un disco su quella linea, rimanendo sull’hardcore ma “crossoverandolo” e siccome ero un patito di queste cose, e avendo Paolino (Chilin, ndr) lasciato il gruppo, entrai nella formazione. Fu un’ottima esperienza perchè nell’anno prima dell’uscita di questo disco feci con loro una tournè molto interessante a fianco dei Nomeansno e di altri gruppi molto importanti della scena hardcore internazionale, portando in giro il loro disco precedente che era “Cattivi Maestri”. Poi “Alterazione della struttura” piacque, la Wide inserì i Peggio in alcune compilation assieme ad altri gruppi importanti della scena. Più che altro era il loro bisogno di cambiare registro musicale, siccome eravamo amici, concittadini di Alessandria, tra odio e amore ci siamo trovati. Fu un’ottima esperienza specialmente dal vivo.

Ed è arrivato il momento della domanda spinosa. Abbiamo visto in questi ultimi tempi il “fiorire” di queste reunion in campo internazionale, un sacco di band tornano dall’oltretomba per proporci, o riproporci, qualcosa di loro. In Italia sta succedendo una cosa simile, anche in campo hardcore, con il ritorno appunto dei Peggio Punx e degli Indigesti. Tu come vedi questa ondata di comebacks?
Ai Viridanse era arrivata la richiesta di riformarsi, quanto ai Peggio sono tornati a esibirsi con la loro formazione originale. Personalmente non ero d’accordo a tornare coi Viridanse nonostante Oltrelanebbiailmare abbia pubblicato questo nostro greatist hits contenente qualcosa come 14 inediti quindi nella storia del remastering di “Benvenuto Cellini” e “Mediterranea” c’erano in più 7 brani precedenti al primo del 1983 e 4 che abbiamo registrato nell’87 nello studio di Elio e le Storie Tese. Per me l’idea di far uscire una summa Viridanse andava bene, una reunion concerto no, perchè non me la sentivo soggettivamente nelle corde. Penso che chi invece si senta di farlo bene, un plauso. Ci ho pensato a lungo in questi giorni in cui ho anche modo di vedere Federico (Massarino, ndr), il batterista dei Peggio. Non essendo una cosa a scopo di lucro penso che a chi si ritrova a suonare brani anche di 25, 30 anni fa vada fatto un plauso alla passione, allo sforzo e al coraggio di ritrovarsi, come una tribù che torna a riformarsi. Positivamente d’accordo.

Quindi in queste reunion si è mantenuta l’attitudine, intesa come lo spirito che animava la scena degli anni ’80, o è andata a perdersi nel tempo? A me sembra che in seguito si sia persa un po’ per strada…
Bisognerebbe chiederlo ai diretti interessati, diciamo ai posteri l’ardua sentenza. E questo è un augurio perchè se ci saranno ancora dei “posteri” tra vent’anni…

Per te invece cos’è l’attitudine?
L’attitudine è quello che io chiamo coerenza, ma la coerenza è qualcosa che nessuno può decifrare se non attraverso le proprie azioni. Sono convinto che l’attitudine sia un modo di sentire e il fatto di mantenere questo modo di sentire, preservarlo, migliorarlo e rivitalizzarlo crei l’attitudine. L’importante è cogliere lo sviluppo diversificando l’idea di base, migliorandola, facendola progredire ma mantenendo sempre il cuore pulsante. Quando il cuore rimane vivo c’è attitudine.

Mi parlavi del tuo ultimo progetto, i DeLaVega, vuoi spiegarci in cosa consiste? Mi parlavi di musica attraverso le immagini.
Mi sono messo a suonare circa 3 anni fa con Giancarlo Sansone, un caro amico, tastierista e patron di un suo studio privato. L’idea era quella di tornare a fare musica libera, senza schemi, in quel momento ascoltavo molte band della Southern Lord tra cui i Sunn 0))), ma anche Brian Eno che amo fin da quando ero bambino. Abbiamo voluto semplicemente fare musica libera e senza schemi. La cosa bella è che ci siamo ispirati così, quasi per gioco, al libro “La città che dimenticò di respirare” di Kenneth J. Harvey, che qui è stato pubblicato per Einaudi, libro che mi piacque tantissimo, e così abbiamo composto i primi 50 minuti e abbiamo mandato la registrazione ad Harvey attraverso Soundcloud, senza conoscerlo minimamente. Poche settimane dopo ci risponde dicendo che si è innamorato incredibilmente di quel lavoro e da questo è nata una collaborazione spontanea. Musica per immagine..più che altro noi componiamo musica e lui crea immagini su di essa. Sono già usciti tre corti basati su questa collaborazione, uno di essi ha vinto il TIFF (Toronto International Film Festival, ndr). Stiamo comunque lavorando a questo potenziale cd, aspettando un contratto, stiamo mandando materiale in ogni dove. Abbiamo avuto ottime risposte da varie etichette europee e americane però concluse in un nulla di fatto a livello di conquibus. Però la cosa interessante è la collaborazione con mr.Harvey, un’esperienza bellissima. La nostra musica va da un afflusso molto drone se non ambient, altre volte si cita anche un Sakamoto più folk, più epico, si cita quello che spontaneamente un sogno che ripercorriamo in musica ma penso sia un trait d’union di tantissimi musicisti. Senza volersela tirare, è bello ,dopo tanto tempo passato a fare musica cosiddetta “di genere”, poter fare un po’ come nel free-jazz, lasciarsi andare, data l’età mi piace anche sentirmi così, libero.

Ho ascoltato alcuni vostri brani e mi hanno ricordato molto gli Om e, appunto, i Sunn 0))) con influssi più musicali e anche molto spirituali, parlando degli Om. Ci ho visto giusto?
Sicuramente mi parli di dischi che possiedo e a cui sono molto affezionato. Ho il difetto, purtroppo, di sentire dalla musica più estrema, che può andare dal free-jazz o dall’avanguardia elettronica a certe cose diciamo “ultra”-metal, attraverso anche movimenti più pacati, sento di tutto. Certamente mi citi Om e Sunn0))) e c’è comunque una comunanza, specialmente per questi ultimi, quando ho sentito le prime cose di Stephen O’Malley ho avuto questo impatto emotivo che poi col tempo ho assimilato, però fu un impatto forte come quando sentii per la prima volta il primo pezzo dei Killing Joke nel 1979, ecco era quel tipo di potenza, e quindi quando crei qualcosa hai quelle frequenze, ci sta anche che ultimamente mi sono rifatto una discografia di black metal. Molti mi dicono, anche il mio amico di Rumore Stefano Morelli che saluto, non siamo in radio ma va bene (ride, ndr), che ricorda anche un flusso kraut, chiaro che quando crei una musica per stimoli entri in gioco anche la memoria anche se non te ne rendi conto comunque quella memoria viene fuori.

Memoria che sta venendo un po’ a perdersi col nuovo pubblico, o nei nuovi musicisti. L’underground italiano sembra pullulare di realtà ma nessuna, o comunque pochissime, effettivamente mette la testa fuori. Ne hai ascoltata qualcuna, underground o ex-underground, che ti ha folgorato?
Sono convinto ci sia un panorama sotterraneo stupendo, forte e fertile. Si ferma nel momento in cui non c’è una realtà di risposta: non esistono etichette, non esistono più locali. Mi ricordo che fino a quindici anni fa potevi suonare un po’ dappertutto, oggi c’è una ristrettezza, una miseria dal punto di vista logistico, i locali non ci sono più, si fatica ad investire, per i gestori, a pagare un gruppo, dare un rimborso spese. Ci vuole un’idea culturale di trasformazione totale perchè di energia ce n’è, e penso che le nuove generazioni esistano, non per fare…sei qui davanti, ho avuto modo di conoscerti, lo dico sinceramente mi ha colpito ETB e mi han colpito le vostre sonorizzazioni, penso che di realtà come la vostra ce ne siano tante . L’importante è capire che esistiamo e che possiamo interconnetterci tra di noi e dare una grossa spinta a livello nazionale. Quello che manca, forse, è la consapevolezza che esistiamo e questo è un male che sta rodendo un po’ tutti negli ultimi dodici, tredici anni ad ogni livello. Quindi essere consapevoli ed insistere. E’ un periodo in cui economicamente si fatica anche nelle azioni quotidiane, forse un’invenzione porterebbe ad un effetto. Sono Buddista e quindi credo molto nella causa giusta con l’effetto giusto. E’ anche vero che stiamo combattendo con un’oscurità incredibile dove vuoi che la cultura della “new generation” si fonda sull’iPod, sulla musica consumata, stracciata e buttata via, ma questo va a toccare una problematica culturale in genere, tout court, guardiamo alla letteratura e al cinema. Ritornaniamo al concetto che la musica è un fenomeno fondamentale per creare una società migliore. Ecco se chi sta suonando in questo momento avesse questa consapevolezza in più forse riusciremmo a convincere che esistere in questo mondo andrebbe bene.

In effetti i musicisti hanno sempre reagito al disagio e alla perdita di valore della musica creando nuove vie. Ha fatto così anche Miles Davis dopotutto.
Assolutamente.

Parlavamo di locali, mi raccontavi che hai avuto in gestione un locale qualche anno fa. Com’è stata questa avventura come organizzatore musicale e non più come muscisita?
E’ stata una cosa molto voluta, è stata un’esperienza che mi ha comunque portato a molti traumi dal punto di vista della gestione però sono felicissimo col senno di poi, ma anche sul momento. Ho gestito in Alessandria un locale per un anno, nella stagione ’91-’92. Io allora chiaramente avevo molti amici, tour manager a livello internazionale, e quindi mi sono avvalso della loro collaborazione, chiaramente pagandoli. Feci una programmazione che mi permise di portare ad Alessandria, in esclusiva ripetto a Milano e a Torino, gruppi come gli Swans, ricordo ad esempio che con Michael Gira rimasi a parlare fino alle 5 del mattino, come con Kid Congo quando venne coi Gun Club, avere un mito dei Cramps era una cosa…Poi oltre a Swans, ai Gun Club e agli Ozric Tentacles chiamai anche molte band europee come Cranes, i Lush, i Breathless e tanti miei amici musicisti venivano a suonare jazz. E’ stata una cosa fortemente voluta anche se sapevo sarei andato in perdita, però in quel periodo avevo questa spinta. Sono ancora adesso attonito perchè a distanza di vent’anni c’è gente che si ricorda che gli Swans dal Greenwich vennero lì a suonare e io c’ero, questa cosa è molto bella.

Mi ricollego alla questione etichette. Fantasticando: tre label scelgono il vostro lavoro, decidi tu quali vi contatterebbero e infine quale di queste dovrebbe pubblicare l’album.
Mi piacerebbe fare una session con Stephen O’Malley, quindi Southern Lord, visto che han pubblicato delle belle cose come i The Secret, ottimo disco, poi c’è Kurt Ballou con la sua Deathwish Inc., ma sta in un’altra dimensione musicale. Ce n’è un”altra in particolare che si chiama Crucial Blast Records, non so se esiste ancora. E poi un’altra è la Denovali, per esempio, perchè le coordinate sono molto vicino a quel tipo di gestione della musica che mi piace, però questo è chiaramente un gioco. Sicuramente, detto chiaramente scherzando e con molta umiltà, non con un’etichetta multinazionale dopo la precedente esperienza, e quello era un periodo buono per le etichette multinazionali, ora penso sia anche peggio. Comunque ci starebbe anche una cosa autogestita, mi piacerebbe trovar la forza per gestire e pubblicare da solo i DeLaVega.

E siamo in conclusione e quindi domanda immaginifica: un disco su cui avresti voluto suonare del passato, uno del presente e uno del futuro, quindi quest’ultimo te lo inventi tu.
Beh del futuro il mio, almeno torno a fare dischi e così faccio cifra tonda. E’ auspicabile riprendere in mano qualcosa che ho sempre amato, suonando anche dal vivo. Nel passato e nel presente…è dura…però per andare trasversalmente, nel passato “Close To The Edge” degli Yes, come passato ci sta. Del presente, visto che siamo in sintonia, l’ultimo di Steven Wilson, anche se potrei dire che mi piacerebbe fare la lotta con Kurt Ballou sull’ultimo dei Converge.

Giunti alla fine ti ringrazio, Impatto Sonoro ti ringrazia per il tempo che ci hai dedicato e speriamo di sentire presto il disco dei DeLaVega, e di vedervi anche dal vivo.
Assolutamente, grazie a voi.

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=xy1lGK3q65s[/youtube]

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