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Savages – Silence Yourself

2013 - Matador/Pop Noire
post-punk/dark/wave

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Tracklist

1. Shut Up
2. I Am Here
3. City's Full
4. Strife
5. Waiting For A Sign
6. Dead Nature
7. She Will
8. No Face
9. Hit Me
10. Husbands
11. Marshall Dear

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Tutta la delicata violenza e la sofisticata oscurità che Camille Berthomier aka Jehnny Beth è riuscita, con la collaborazione di Nicolas Congé, a creare e contenere nel duo lo-fi/new wave made in France John & Jehn, esplode rabbiosamente da Londra attraverso le Savages, un gruppo di sole donne con gli attributi, avvolte, non troppo volontariamente, in un’aurea di femminismo alla riot-grrrl. E queste quattro donne, la sopracitata Jehnny Beth (voce), Gemma Thompson (chitarra), Ayse Hassan (basso) e Fay Milton (batteria) ci regalano Silence Yourself, il loro album di debutto, uscito il 6 maggio e prodotto dalla Matador Records e dalla Pop Noire, etichetta di proprietà della stessa Beth: un amalgama di post-punk e dark wave, di graffi e desideri covati ma repressi, un vero e proprio inno al ricomporsi e al viversi senza compromessi come si legge nel documento presentato sul sito della band e non a caso intitolato Savages Manifesto #2, «[…]it is an attempt to reveal and reconnect your PHYSICAL and EMOTIONAL self and give you the urge to experience your life differently, your girlfriends, your husbands, your jobs, your erotic life and the place music occupies in your life».

Silence Yourself è un disco contro la musica di superficie, contro chi si preoccupa più della sua immagine e del suo potenziale di vendibilità che dei messaggi che trasmette, contro le distrazioni che allontanano da quello che dovrebbe essere il fine autentico della musica: raggiungere, ferire e insinuarsi nell’ascoltatore. Tuttavia, il cambiamento contro la conservazione, contro l’irreggimentazione che suggeriscono le Savages è avvolto in un velo di inequivocabile oscurità. Ci si accorge così che si stanno seguendo i passi dei Joy Division (la stessa Beth abbandona il caschetto che tanto la “inquadrava” nel progetto francese a favore di un taglio drastico che la tinge ancor di più di Ian Curtis) creando, nondimeno, un puro mix tra una voce che a volte ricorda una Patti Smith con una follia vocalica alla Siouxsie Sioux dei Siouxsie and the Banshees, una chitarra che è capace di graffiare perfino l’anima di chi l’ascolta e un basso che, insieme alla batteria, riesce a scandire violentemente anche il ritmo delle nostre emozioni.
Dopo la piccola anticipazione che la band inglese ci aveva offerto con il double A-side del giugno 2012 contenente i brani “Flying to Berlin” e “Husbands”, oggi, con Silence Yourself, è assolutamente opportuno restare in silenzio, come da titolo, lasciarsi assaltare e conquistare la mente dalla loro musica tagliente ed erosiva, chiaramente da lasciar fluire ad un volume che riesca persino a sovrastarci. Il viaggio tormentato e appassionante nel mondo post-punk di nuova generazione e rigorosamente al femminile comincia febbrilmente con “Shut up”, primo brano dell’album che attacca con un estratto da Opening Night di John Cassavetes, diverso da quello che si ascolta nel videoclip curato da Giorgio Testi, «[…]Perhaps having deconstructed everything we should be thinking about putting everything back together», continuando dopo neanche un minuto con un’esplosione di ritmica che non può non creare dipendenza. L’ascolto continua con “I Am Here” e “City’s Full” che riescono a lasciarci addosso le ustioni della chitarra al vetriolo della Thompson, la stessa che ci colpirà fino alla quinta traccia “Waiting For A Sign” toccando il picco massimo con “Strife”, quarto pezzo capace di illuderci che la violenza e la velocità siano diminuite. Si arriva così al momento strumentale del disco, tutto silenzio, simil rintocchi di campane e soffocati ticchettii: “Dead Nature”, che poi è il segno di riconoscimento, il marchio dell’effettiva coscienza dark e decadente che rappresenta il sostrato di questo lavoro musicale. Settima disperata e martellante traccia “She Will”, non a caso è stata scelta come primo singolo estratto dato il suo potenziale fascino non troppo esclusivo. Fortuna che già con i successivi brani “No Face” e “Hit Me” tornano gli sferzanti slanci vocalici misti a tutta la furia ricca di distorsioni delle musiciste. “Husbands”, penultimo pezzo, lo conoscevamo già, ma ritrovarselo in coda è un piacere: si raggiunge così l’acme della frenesia, facendosi violentare dalle urla isteriche e ansimanti della voce di Jehnny Beth, della quale a questo punto ci siamo innamorati. Infine arriva “Marshall Dear”, dopo il culmine dell’agitazione il brano perfetto per ricomporsi e, perché no, farsi avvolgere dalla malinconia.

E allora, «can you feel it now? Silence yourself».

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