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Interviste

Intervista agli PSYCHOFAGIST

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Psychofagist, nati per infastidire vivi per continuare a farlo. L’uomo è uomo o l’uomo è merda? E le avanguardie cosa diamine sono? Parliamo di tutto ciò e del loro nuovo disco in uscita chiamato “Songs Of Faint And Distortion” (clicca qui per la nostra recensione) con Marcello Sarino, loro disumanizzatore di basso e voci.

Fate i bravi cari Psychofagist e allungate un vostro biglietto da visita ai gentili lettori di Impatto Sonoro.
Nome: Psychofagist
Luogo e data di nascita: Novara, attorno a fine 2001
Occupazione: creare e riprodurre musica che infastidisca chiunque
Orientamento sessuale: castrazione, lobotomia e onanismo
Dalla prima uscita discografica di rilievo, datata 2003, abbiam sfornato: 3 album, 4 ep e 5 split e/o collaborazioni con altri mostri.

Ho visto, frugando tra i cavi del cyberspazio, che avete appena concluso un bel mini tour con i Viscera///, come è stato questo giretto per l’Italia?
Alti e bassi, forse un pelo al di sotto di quanto ci saremmo attesi. In Italia sembra che il nome giri, qualche venue per concerti sembrerebbe ancora attiva e viva e qualcuno che suona ancora vi bazzica, ma il pubblico resta davvero l’incognita più oscura. Non mi sbilancio più su giudizi o anamnesi, speriamo in tempi migliori…. e non tirate in ballo la crisi che siamo il gruppo discount della galassia!!!!

Ed è quindi giunto il momento di parlare del terzo album “Songs Of Faint And Distortion” e partiamo dal principio: il titolo, pura goliardia del disco “Songs of faith and devotion” Depeche Mode o ben altro?
No, zero goliardia. Sentivamo questo fosse l’album nostro più spirituale, più intimista, più radicato al passato e, conseguentemente, più evoluto e proiettato a un orizzonte sterminato. Lo stesso titolo dei Depeche Mode è un omaggio a certa musica nera di inizio secolo. Debolezza e Distorsione sono quantomai nostri elementi ponderanti.

Su “Il secondo tragico” avevate tra le fila Luca Mai degli Zu, in questo lavoro invece vi siete avvalsi della collaborazione dei noisemakers cechi Napalmed, perchè loro e come è avvenuta la fusione delle vostre due entità? Come avete lavorato sul materiale dell’album?
E’ avvenuta con un semplice “Siamo entrambi degli zozzi abusatori di disastri sonori, perché non concentrare i nostri sforzi e dare alle stampe il Rosemary’s Baby dello squilibrio mentale?” La risposta loro è stata: “Aggiudicato, eccovi 60 gigabyte di nostre registrazioni, suoni e performances, attendiamo le vostre per scarnificarle e farcirle di onde quadre”.

Vien dunque naturale chiedersi quale sarà la vostra prossima collaborazione.
Charles Manson. O forse Marilyn Manson… mi piacerebbe coverizzare “The Dope Show”, grande pezzo. A quel punto ci meriteremmo di subire un’esecuzione di tipo ‘Helter Skelter’ in pubblico nella piazza centrale di Novara.

Testi e titoli dei brani sono sempre allucinati e particolari, a cosa si ispira la parte lirica della vostra creatura?
Arte, cinema, letteratura, vita reale, vita desiderata. L’assurdo e il non-sense. La fantasia di un mondo infinito, universale, e al contrario, i morbi e le debolezze di noi insignificanti spugne di sangue e muco dotati di quel non-so-cosa che in biologia ci distingue dagli esseri inanimati. Amo molto JL Borges….

Parecchi anni fa durante un vostro concerto in un centro sociale appena iniziaste a suonare un amico che era con me esclamò inorridito “questi cazzo di jazzisti”, mentre io comprai il vostro primo album. Il mio amico non sapeva quanto avesse ragione a quanto pare. Quanto è influente il jazz, in tutte le sue difformità, nelle vostre composizioni? Ed è sempre così che reagisce la gente ad un primo ascolto dei vostri concerti?
Se qualcuno dovesse venirmi a chiedere cosa sia il Jazz, personalmente non glielo saprei nemmeno spiegare! Lo ascoltiamo, ne ascoltiamo parecchio e il nostro buon chitarrista ne è abbastanza devoto. Ma lo ritengo un genere di per sé morto a fine anni 50 con interessantissimi excursus post-mortem nei decenni successivi, quando divenuto meno talebano e ben contaminato grazie a una limitata schiera di avanguardisti. La gente pensa che se uno sa suonare un accordo di ‘sesta-bemolle-settima-più’ ripetendolo in schemi ritmici dispari, automaticamente è uno che studia jazz. Io non ho mai studiato jazz come non ho mai studiato industrial come non ho mai studiato brutaldeathmetal, eppure spesso ci imbattiamo in certe etichette. L’unica prova del nove che potrei richiedere sarebbe quella di farci suonare all’Umbria Jazz e vedere le facce schifate di chi mormora “questi cazzo di metallari”. Ignoranti gli uni, ignoranti gli altri.

L’Italia, musicalmente e artisticamente parlando ma se volete estendiamo la domanda a tutto il resto, è davvero arrivata ad un punto morto?
Non credo. L’underground è vivo e vitale, con piccoli numeri, con sforzi megalitici che sortiscono risultati miserrimi, ma vivo. Non mi metto a dissertare sui trend, sulle logiche di fondo dell’underground, sulle nicchie delle nicchie delle sotto-culture. Ciò che mi spaventa è il livello medio/mainstream: insomma, tutto ciò al di sopra dell’underground è la vera rovina del nostro Paese, il marcio del sistema, motore dell’imbruttimento e del processo di volgarizzazione della nostra società. Un tempo la Rai ci regalava i concerti delle Orme con l’orchestra di Sanremo, oggi La Prova del Cuoco con ospite Michele Misseri alle prese con la ribollita. E questo ha per forza scalabilità e infiltrazione anche nel sottobosco. Non esiste nulla di nulla di nulla nel mondo ‘commerciale’ che mi faccia esser fiero di essere italiano. Una sera di recente sulle TV francesi in prima serata avevo beccato un live di Mark Lanegan. Varrà qualcosa? Io penso di sì.

Avete girato molto in Europa, come viene affrontata la vostra proposta all’estero?
Viene affrontata con curiosità, che è la chiave della cultura (rifacendomi a quanto precedentemente detto). Per quanto possiamo essere ostici e incomprensibili, offriamo uno spettacolo che almeno una volta nella vita vale la pena assistere. C’è chi ne esce sbalordito, chi indifferente, chi con le ossa rotte, chi con qualcosa di negativo da scrivere su un blog, ma è giusto così. Non si tratta di rivendicare il proprio “quarto d’ora di celebrità”, quanto più sostenere la causa di tre mongoloidi che credono davvero nell’apertura delle menti, delle arti, dei generi, delle esperienze estreme. Ergo: schiere di organizzatori non attratti dai loghi delle toppe più diffuse che si sbattono e che prendono per le orecchie uno per uno i propri compagni di merenda dicendo “vieni a sentire il concerto di tre mongoloidi che credono davvero nell’apertura delle menti, delle arti, dei generi, delle esperienze estreme”.

Quant’è importante la filosofia del Do It Yourself nel 2013?
Per noi è ormai l’unica soluzione disponibile. Ci adattiamo giorno dopo giorno al ruolo di tour manager, promoter, produttore discografico, agente, commerciale, autista, meccanico, rivenditore e spacciatore! Siamo avidi e viscidi, dobbiamo tenere tutto quanto sotto controllo…

Qual è il concetto di avanguardia e sperimentazione per voi Psychofagist?
Considerato che le vere e sconvolgenti avanguardie musicali sono ormai vecchie di almeno 60 anni e che la sperimentazione è piuttosto complicata in una line-up standard e classica come la nostra, noi Psychofagist facciamo nostre queste tendenze semplicemente cercando nelle piccole cose, nelle micro-mescolanze, nell’alternare generi e sound più disparati, nel ricerare un suono non facilmente plagiabile. Chiamiamola innovazione incrementale, chiamiamolo crossover, chiamiamola sotto-nicchia: è già qualcosa di utile per fare uscire la testa da questa melma chiamata volgarmente ‘musica’.

Finora vi siete spinti molto oltre la soglia del rumore e del concetto tradizionale di genere, quale aspetto della musica non avete ancora scandagliato e sentite il bisogno di inserire in un prossimo lavoro?
Bella riflessione: da amante di certi filoni, sono abbastanza soddisfatto (ma mai sazio!) di aver percorso con nonchalance in questi anni, e in modo mai esclusivo e/o esaustivo, i solchi del jazz-core, del noise-industrial, della rumoristica, del progressive, del brutaldeath, de “la new wave italiana e il jazz punk inglese”. Il mio cruccio permane nella logica dei suoni, di sperimentare in quel filone, sdoganando il classico sound da power-trio hardcore/metal.

In chiusura: che status avete scelto come preferito, uomo o merda?
Che domande. Merda. L’ho tatuato sotto il tricipite. La merda è ciò che ti fa andare avanti, è un circolo continuo mai vizioso. Ne mangi (in senso figurato), ne espelli (in senso ampio, extra-fisiologico) e procedi guardando il mondo dal basso, rendendoti conto che sebbene tua sia minuscolo e fetido, l’universo è a portata di mano. L’uomo è un essere mediocre, spregevole, unto e vorace. Hai presente il Cavaliere Inesistente di Calvino che ripulisce il campo di battaglia pensando come i cumuli di corpi che si disgregano non facciano tanto meno ribrezzo del carnaio del genere umano vivente? Ecco, noi vogliamo esorcizzare quel ribrezzo.

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