Il Magnetofono è un oggetto che, di per sé, evoca atmosfere viniliche e sensazioni sonore d’altri tempi, legate per sempre a un mo(n)do di intendere e fare arte ben diverso dagli stilemi/dettami socio-culturali attuali. Alan Bedin (voce), Emmanuele Gardin (pianoforte) e Marco Penzo (contrabbasso) non avrebbero dunque potuto scegliere nome migliore, per descrivere il ricco bouquet di fascinazioni artistiche che riempiono il loro omonimo debutto.
Il gruppo vicentino, depositario e autentico interprete della composita tradizione musicale che va dal secondo dopoguerra agli anni ’70 RCA-Ricordi, ha dalla sua non solo una non indifferente preparazione tecnica (Finezze), ma anche (sopratutto) un background culturale vasto e vario, che abbraccia tanto il jazz quanto Capossela, Waits e Carmelo Bene, in un vortice citazionista mai fine a se stesso, teatrale e melodrammatico (La Dichiarazione Del Mago, Non Ho Finito!), nell’accezione positiva del termine.
Il Magnetofono, disco brillantemente accompagnato (anche on stage) da una controparte visual, realizzata ad hoc da Osvaldo Casanova, è infatti una produzione atipica e sui generis, a metà strada fra la forma canzone e la performance teatrale, in cui confini, categorie e definizioni vengono meno, lasciando scoperta solamente la lucida essenza artistica, opportunamente convogliata nella vivave/verace chiave espressiva del trio, coadiuvato da guest di pregio come Vincenzo Vasi (Capossela), Capovilla (Teatro degli Orrori) e Freak Antoni (Skiantos).
Il risultato è un disco tanto istrionico e stravagante quanto brillante e interessante all’ascolto, che riesce a suscitare nuove impressioni a ogni giro, mostrando in questo senso anche una non comune longevità. Una delle migliori new sensation del panorama musicale tricolore.
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