Mike Parker è un professore universitario di disegno e tra uno schizzo e l’altro si diverte a mixare e comporre musica techno dai leggeri contorni sperimentali. Non è certo un neofita del settore ma è sicuramente uno che lavora con i suoi ritmi. Risale, infatti, a ben 12 anni fa il suo unico album sulla lunga distanza, Dispatches, che introduceva la commistione tra veloci rantoli techno e brillanti rimaneggiamenti minimal senza sacrificare mai la caratteristica principale del suo concetto di musica, ovvero la connotazione limpida delle sonorità e il giusto dosaggio delle parti ritmiche.
Il titolo di questo album aiuta ancor di più a sottolineare bene il concetto. Lustrations, come il riuscitissimo tentativo di fornire ad ogni base un sound chiaro, riconoscibile e molto distante dal noise. Le dodici tracce del disco possono risultare, tuttavia, prive di intensità e di robustezza, un insieme di caratteristiche che concorrono a rendere il complesso dell’album di difficile consumo e di ancor più difficile comprensione. C’è sicuramente la mano dell’esperto e navigato produttore di suoni su differenti pieces come Forms e Atlantic (identificate inizialmente come Lustrations 3 e 7), ma manca il coinvolgimento e la capacità di mantenere alto l’interesse dell’ascoltatore per via di un sound piuttosto ridondante e spento. Non che, in generale, si ricordi, a memoria d’uomo, un disco “sperimentale” dalle sonorità di facile comprensione ma qui sembra di avere tra le mani il deludente risultato di chi ha provato a fare qualcosa di innovativo senza curarsi del fattore noia.
Il disco di Mike Parker è lungo, noioso e piuttosto anonimo e poco si presta alle caratteristiche di un dj-set ad alto volume. Lustrations sembra essere fine a se stesso, come se Parker avesse voluto produrre una serie di brani da copiare su un cd da tenere, e dimenticare, in macchina. Sicuramente l’attesa, soprattutto in ragione del lungo lasso di tempo che separa i due lavori dell’artista, non giustifica la spesa. Tenetevi i soldi in tasca.
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