to lynch: linciare
Chi dovrei introdurvi? David Lynch? Se non lo conoscete, prego, quella è la porta. C’è di certo una porta lì. L’uomo le cui visioni eccedono e dilaniano ha bruciato la pellicola e da qualche anno è diventato questo: un cantautore. Sì. Che poi..da qualche anno..già al fianco dell’altro visionario Angelo Badalamenti per comporre i brani dei suoi figli a 35mm (o 9,5 o 16, non andrò a chiederglielo). Fuori luogo o meno la definizione è questa. Di cosa? “Blues moderno”, dice lui, e perchè no? Accettiamo il genere, perchè il colore blu permea le immagini che sanguinano dalle sue composizioni.
E continua il discorso iniziato con “Crazy Clown Time” ma va ancora più “downtempo” e ci dona qualcosa d’inclassificabile bellezza e lo chiama “The Big Dream”. E qual che sia il grande sogno di Lynch fa sempre male ed è destinato a lasciare prima sconcertati e poi segnati indelebilmente. Ancora al fianco di Dean Hurley e ancora più incisivo, e più carico di quell’emotività solo sua e che aliena tanto quanto la sua voce, inadatta al bel canto, “fastidiosa” quanto “giusta” e stridente. Apre la strada il dolore zoppicante della title-track, piove blue e lo fa con indolenza attraverso il tema di chitarra gravido di riverbero e semi-acusticità liquide. E la misura del blues appare incarnata in “The Ballad Of Hollis Brown”. Bob Dylan direte voi? Invece Lynch assicura sia invece la sua interpretazione della a sua volta magnifica cover che ne fece Nina Simone, ed è lo snodo dell’album coi suoi riverberi allucinanti la batteria grossa, gravida e pesante, e che mostra in Lynch un narratore che è più Claypool che Zimmerman.
Nei suoni “nascosti” e nelle ombre notturne vive l’inquietante “We Rolled Together”, con la voce che seziona gli spazi e poi sale nell’intensità ascendente del chorus ed è contrappeso alla luce rockarolla di “Sun Can’t Be Seen Anymore” dalle chitarre ben poco miti e dalla voce proveniente da un altro piano d’esistenza. E c’è un tempo per il trip-hop all’acido (“Wishing Well” è da club infernale) e un tempo per il pop: l’ottantianità di “Are You Sure”, così dolce e poco rassicurante nelle sue aperture mistiche e spaziali, in cui Lynch ci dimostra che non bisogna avere una “bella” voce per far stare così tanto bene e la bonus track “I’m Waiting Here” in cui è Lykke Li a dar corpo vocale, un po’ fuori luogo magari, ma bella da far bestemmiare.
Così tante parole per dirne una sola: micidialebellocazzochedisco.
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