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Daugh Gibson – Me Moan

2013 - Sub Pop
gothic-country/electro-pop

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Tracklist

1. The Sound Of Law
2.Phantom Rider
3.Mad Ocean
4.The Pisgee Nest
5.You Don’t Fade
6.Franco
7.You Won’t Climb
8.The Right Signs
9.Kissing On The Blacktop
10.All My Days Off
11.Into The Sea

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Camionista, commesso in un sexy shop, batterista per i Pearls & Brass, rivelazione del 2012 con l’intrigante e carismatico “All Hell”. Josh Martin, in arte Daughn Gibson e altrimenti detto “Gothic Cowboy”, azzeccatissimo soprannome che il Guardian gli ha affibbiato, non smette di stupire, sviluppando in “Me Moan” atmosfere musicali ovattate, robotiche e sempre più adatte a esaltare il potente, affascinante e tenebroso canto baritonale fatto in casa, che si assesta ancora come valore aggiunto. Le nuove confessioni americane di Gibson non rinunciano a un singolo spigolo di lascivia ma sono ora immerse in una cornice più accessibile. La volontà di conquistare l’ascolto con ogni vessazione creativa ha lasciato spazio a una più morbida mediazione tra una robusta elettronica, congeniali ingressi in stanze pop e l’affidabile bastone country. Ma l’aria che si respira resta decisamente cupa, irrimediabilmente gotica, come la conturbante immagine di copertina fa intendere.

Il disco parte fortissimo già con il basso scheletrico in odor di Suicide di “The Sound Of Law”, che si evolve ansimante. Ancora “Phantom Rider” insinua i primi ricorrenti battiti sinistri e morbosi, “Pisgee Nest” erompe languidamente con una pedal steel da urlo e dà il là alla turgida “You Don’t Fade”, sabba dilatato su basi sintetiche e in odore dell’ultimo Nick Cave. “Franco” discosta poi il disco da una morbosa monocromia (da cui si era già staccata “Mad Ocean”, originale intreccio tra cornamusa e elettronica) per farsi catarsi dell’atroce disperazione di una madre che piange il figlio suicida, sublimando così le più sonore sconfitte private dell’America profonda. La seconda metà del disco non è all’altezza della precedente, con le non memorabili, seppur riuscite “You Won’t Climb”, dal sapore pop, “The Right Signs”, elettro-kraut spettrale, e il rockabilly furbo e futile di “Kissin’ On The Backtop”, che garantisce un passaggio radiofonico e l’esaltazione della masculinità di Gibson, pescando banalmente nell’immaginario machista amaericano. Calano infine anche i toni, e questo non è affatto un male, anzi. Sia “All My Days Off” che “Into The Sea” recuperano rispettivamente malinconia e speranza rispetto a uno spettro di musiche e emozioni più estreme, e regalano una conclusione di inaspettata armonia e delicatezza.

Se “All Hell” fu confessione diretta e con quel quid viscerale da memorabile opera prima, “Me Moan” è una narrazione sfuggente di cui si impongono più sonorità che canzoni, non ancora la rivelazione assoluta che Gibson sembra aver le potenzialità di comporre, ma un altro elegantissimo passo in questa direzione, complice quella vociona densa e complessa che conosce l’abisso sublimando l’assidua frequentazione che vi intrattiene al ritmo di un disco all’anno e imponendosi come uno degli enigmi più suggestivi di questa prima frazione di decennio musicale.

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