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Il Collezionista Di Ossa

Paul Desmond – Glad To Be Unhappy: Il Collezionista Di Ossa #26

Camminando nei meandri oscuri dei magazzini di Impatto Sonoro ci siamo imbattuti in molti cadaveri, interessanti resti umani che il tempo ha dimenticato e che abbiamo deciso di riportare alla luce per non lasciare alla polvere tutte queste avvincenti storie. Afflitti dalle nostre turbe ci sentiamo un misto tra The Bone Collector e Karl Denke. Presentarvi direttamente il corpo non sarebbe abbastanza frizzante, pertanto ci siamo imposti che ogni numero di questa rubrica sarà composta da tanti piccole falangi tagliate che vi doneremo come pillole. Starà a voi seguire le tracce al suon di musica e arrivare goduriosamente al corpo del reato.
Recensioni di dischi finiti nel dimenticatoio, ristampe di glorie del passato, bootleg, archivi musicali e nuove uscite in formato musicassetta.
Dalla minimal wave all’industrial, passando per gruppi underground est europei, giapponesi e catacombe innominabili.

A cura di Francesca Marini.

Paul-Desmond-Glad-to-Be-Unhappy“Glad To Be Unhappy” è un album del 1963. Un album inciso mezzo secolo fa, il cui autore ci ha lasciati nel 1977. “Roba vecchia” che guardava e che guarda tutt’ora avanti.

Ho deciso di rispolverare questa chicca perché cinquant’ anni fa c’era quest’uomo che aveva deciso di farci sognare in eterno con il suo sax contralto. Musica del passato che però guardava già al futuro, musica che trascende qualsiasi misura adottata dall’intero genere umano per calcolare il tempo. Nell’era della tecnologia che pervade ormai quasi ogni aspetto della nostra vita, in realtà la cosa più futuristica  che possa esserci è il sax di Paul Desmond accompagnato dalla chitarra di Jim Hall (altro colosso del Jazz, ancora vivo). Perché la musica è “futuro” quando è eterna.
Il Jazz: non musica, ma autentica magia. Anche nel 3000 sarà uno di quei pochi generi in grado di raggiungere quelle zone dell’anima proibite, che nessun’altra cosa, nessun’altra persona o nessun’altro genere musicale potrà mai raggiungere. Non c’è niente di più intimo, di più personale. Desmond oltrepassa questo confine dell’anima con le note che prendono vita dal sax. Note che, in sette tracce, assumono stati d’animo diversi ma non del tutto: sono tristi, camminano da sole sotto la pioggia nella traccia omonima del disco; sono leggermente più solari in “A Taste of Honey”, per l’appunto un assaggio di dolcezza in un mare di malinconia. Perché “Glad To Be Unhappy” è la malinconia in musica: anche nelle tracce più luminose c’è sempre un velo di leggero malumore, mai disperato.
Questo modo di fare Jazz è definito Cool Jazz: note lente, rilassate, niente di agitato o di aspro. A tutto ciò Paul Desmond aggiunge questa sua lieve tristezza, questa sua lacrima che cade silenziosa lungo la guancia senza far rumore, lasciando un solco delicato.

Gesualdo Bufalino ne “Il Malpensante” del 1987 scrisse che “Armstrong è scarlatto, Ellington è violetto.” Se dovessi attribuire un colore a Desmond, non ne sceglierei nessuno. Perché la sua musica è trasparente, cristallina. Pura.
Un disco di autentica bellezza, di una eleganza senza eguali. Il mosaico perfetto del cuore di un uomo. Un uomo immortale che ha fatto musica immortale.

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