Jasmine, una ricca donna New Yorkese, deve affrontare il trauma del divorzio da un marito che ha costruito il proprio impero su una serie di truffe milionarie. La donna arriva a San Francisco desiderosa di ricostruirsi una vita e per iniziare decide di soggiornare presso la casa di sua sorella Ginger. I ricordi relativi al recente matrimonio non sembrano però averla del tutto abbandonata.
Ancora una volta ci si trova di fronte a una pellicola che pare figlia del nuovo filone dato dalla virata definibile come “Match point”, che nel recente passato fece da spartiacque fra un ‘vecchio’ ed un ‘nuovo’ cinema Alleniano. Il regista di origine ebraica aggiunge a questa sua ultima fatica anche un suo vecchio pallino, ovvero i problemi di natura psichica, e confeziona un film che in apparenza pare una commedia ma che prontamente svela le proprie carte, direzionandosi verso una matrice maggiormente drammatica, riuscendo a costruire e definire i personaggi in itinere e riuscendo al contempo ad aggiungere proprio una sua personale ricerca sulla psiche, qui esaltata come fragile e al contempo complessa. Questa volta, a farla da padrona, in un ruolo un tempo perfetto per lo stesso Allen, lo fa una splendida Cate Blanchett, che di fronte ai suoi deliri vede crollare la propria vita in un continuo andare e venire da un passato recente e sfavillante sino ad un presente squallido e distante. Completano la pellicola una San Francisco splendida, esaltata dalla perfetta fotografia di Javier Aquirresarobe; una colonna sonora che fa del jazz il proprio marchio di fabbrica e un Alec Baldwin per il quale a fine film si riesce a provare anche una sana dose di complice simpatia.
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