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Supervixens – Nature And Culture

2014 - Acid Cobra
post-rock/kraut/avant

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Tracklist

1. O
2. I
3. Chromo
4. Loud! Loud! Loud!

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A scanso di equivoci, è bene dirlo subito: sebbene ci sia scritto Supervixen, non troverete le celebri tettoTne di Russ Meyer. Si tratta bensì di un’interessante band toscana che, dopo Mudhoney e Motorpsycho, ha scelto di nuovo di attingere alla filmografia di Meyer per darsi un nome.

Nature and culture è un album che lascia intravedere tanta stoffa, quattro brani strumentali per un totale di poco più di mezz’ora.
È davvero difficile inquadrare in uno o più generi la musica proposta.
Post-rock, kraut, industrial, noise potrebbero calzare, ma si tratta di un mix originale, volutamente confuso, denso e ostico, che è veramente superficiale archiviare con una semplice etichetta.
Quattro brani, si diceva, dai titoli minimal – “O”, “I”, “Chromo” e “Loud! Loud! Loud!” – che possono essere associati a due a due per struttura e durata. “O” e “Chromo”, infatti, si attestano attorno ai cinque minuti di durata e vanno dritti al punto, pugnalando con chitarre affilate e non lasciando quasi mai respirare l’ascoltatore, se non per prepararlo al colpo di grazia, fatto di synt, rumori e schianti di batteria.
“I” e “Loud! Loud! Loud”, invece, superano i dieci minuti e costituiscono gli episodi più elaborati dell’album, quelli che giocano di più sulle atmosfere dilatate e sull’alternanza forte-piano. Sono brani vertiginosi, nonché vorticosi. Spirali di suono, incedere lento che preannuncia l’inesorabile arrivo del rumore, introduzioni ossessive che preparano alla cacofonia che risucchia e rapisce.
E “Loud! Loud! Loud” sfuma, sfociando in sibili e spasmi di rumori indefiniti. E la musica finisce, sul più bello. I Supervixens ammaliano, ipnotizzano, riescono a trascinare l’ascoltatore nel loro mondo distorto, ossessivo e fondamentalmente malato, ma proprio mentre si viene sballottati di qua e di là, mentre il vortice frenetico e violento ci risucchia… l’album finisce. Le perfide sirene (sicuramente nude e maggiorate, come vorrebbe Meyer) hanno corrotto l’ascoltatore convincendolo ad abbandonarsi alla dissonanza e a seguirle in un abisso oscuro, ma poi lo hanno lasciato solo e in silenzio. Il disco è una piccola perla, senza dubbio, ma proprio per la sua potenza e il suo coraggio, per la sua voglia di essere estremo, indigesto, ostico, forse doveva esserlo ancora di più. Funziona tutto, con il pezzo di apertura immediato e massiccio, non troppo lungo; con la successiva struttura del disco, “Chrome” che va a fare da intermezzo tra i due pezzi più elaborati. Manca solo l’ultimo passo, quello di creare veramente un album talmente ostico che rasenti l’inascoltabile, qualcosa di mastodontico e indigeribile che non permetta all’ascoltatore, rapito dal vortice, di chiedere ancora.

Quello che resta dopo la mezz’ora abbondante di ascolto è la fiducia per una carriera che si annuncia estremamente interessante, una voglia matta di vederli performare dal vivo, ma anche un filo di amarezza; osando un po’ di più poteva davvero essere un disco eccezionale.

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