C’è un fondo di distorsione che non abbandona mai. Tutto ci passa, prima o poi, per fare compagnia ad un basso che non arriva mai pulito alle orecchie.
Chitarre dedite ai virtuosismi che sostengono la struttura dei pezzi creando uno sfondo a volte orecchiabile e a volte comprensibilmente caotico, una voce urlata o cadenzata le cui parole vengono spesso distorte per essere rese lunghe o risonanti, una batteria che sembra adattarsi e farsi trascinare ovunque, a patto di essere alla guida. L’atmosfera è cupa, difficile definire un inizio e una fine delle sensazioni, ci sono moltissimi suoni che potrebbero risultare fastidiosi all’orecchio e che scandiscono il passare del tempo, danno punti di riferimento, riprendono il filo e l’attenzione.
Le melodie sono in sottofondo, nascoste da quest’alone scuro, ma la loro presenza è sempre lampante. Così come i rimandi a tanta cultura musicale tante cose sembrano essere nascoste in bella vista per essere trovate senza fatica, mescolate nel tutto eppure ben distinte mentre spiccano dal caos.
Tutto è suonato a dovere, un’opera che potrebbe appassionare gli amanti del genere, che traccia un viaggio difficilmente abbandonabile per chi è riuscito a coglierne il filo; chi non riesce a prendere l’onda giusta e a cavalcarla a dovere potrebbe invece soffrire per la mancanza di cambi secchi di direzione, ma a quel punto l’unica soluzione è ricominciare: o si capisce dove ci stanno portando o è inutile perdersi con loro.