Salutare la civilizzazione che pervade le nostre menti infangate dal nulla è difficile. Salutare il passato e aprire ad un futuro sotto forma di altre entità sotto la stessa pelle d’ossidiana è un’altra di quelle cose che risultano difficili ai più. Zu invece muta, seziona il proprio essere e lo concede di nuovo ad un mondo che affonda nel silenzio. Zu che dice “Goodnight, Civilization” è un’entità difficile ma allo stesso tempo una sorta di rituale liberatorio. Nei meandri di un’oscurità infinita, tra le sinapsi del mostro.
Il sintomo di tensione tra entità semoventi e “quasisenzienti” è il collante che divelge e sgrana su “Goodnight Civilization”, tra le mani chirurgiche del nuovo incarnato in Gabe Serbian in continua e tagliente sinuosità sullo sludge-manicomio creato dalle quattro corde di puro rumore di Massimo Pupillo infilzato senza pietà dalle staffilate baritone di Luca Mai, in una triade di puro orrore post apocalittico che prima corre e poi si assesta nella palude tra virus elettronici e calma cibernetica. E nei nevrastenici scambi di “Silent Weapons For Quiet Wars” trova casa la follia del mind-control, fatto di gelo e terrore, trilli che divorano decibel, sassofoni che urticano che spolpano e che finiscono nel baratro di un silenzio espressionista e delirante, che fagocita ricordi e abitudini e riduce tutto a zero. E a chiudere la porta la danza ulcerica di “Easter Woman”, direttamente intinta dalle pupille dei Residents, spogliata dalla freak anti-leggerezza originale e resa violento minuto di cordoglio rumoristico dove il grind è solo l’idea finale per spezzare il fiato, un ricordo, una memoria del disatro, impreziosita/insozzata dall’ugola mortifera di Barney Greenway dalla corte della violenza dei Napalm Death.
Tra capacità uditive e sanità mentale, non si sa bene cosa salutare. Qualcosa, comunque, se ne andrà.
[youtube]https://www.youtube.com/watch?v=_X69Paqkd3Q[/youtube]