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TUNNG – Tender Club, Firenze, 17 aprile 2014

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Quando ho visto che i Tunng avrebbero suonato a Firenze mi sono energicamente strofinato le palpebre. Il loro primo disco “Mother’s Daughters and Other Songs” (2005) è un gioiello di folktronica o elettrofolk che dir si voglia, sulla scia degli immensi The Books, seppur con meno sperimentalismi e un approccio più melodico e genuinamente pop (specialmente nei loro ultimi due dischi).
Il concerto è organizzato da Le Nozze di Figaro al Tender a due passi da Santa Maria Novella, club che sta alzando progressivamente la mira e rubando lo scettro alla Flog, che ormai, residui di coraggio a parte, è divenuta mero ricettacolo di concertini fintamente indipendenti per giovani sinistroidi annoiati e reggaeton duro a morire: du’ palle così. Peraltro i locali del Tender furono quelli del gloriso e occulto Sintetika, dove passarono cosine quali Joan As Police Woman, Bonnie Prince Billy, Lisa Germano, Tarwater senza far troppo rumore. “Ma poi venne il buio”, come si legge sul sito del club ed anni felici in cui Flog e Viper si spalleggiavano felicemente una proposta musicale soddisfacente, ospitando gente Meat Puppets, Living Colour, Dinosaur Jr., Yo La Tengo e tanti altri.

Godo dunque particolarmente di vedere un piccolo club ospitare un grande nome indipendente come i Tunng, se ancora non si fosse capito. Ma arrivo tardi e mi dispiace, perché scopro tardivamente che il gruppo spalla era Nicolas J. Roncea, cantautore italiano che non mi dispiace affatto e di cui faccio in tempo a prendermi una manciata di ottimi minuti chitarra e voce. Entrano poi i Tunng con la classica formazione visibile in ogni loro live online, che appaiono subito per ciò che sono: un insieme eterogeneo di personalità che trova nella musica una sinergia fresca e volubile, grazie a un repertorio di cinque ottimi dischi e qualche singolo/EP. E appaiono subito in forma, sparando canzoni in rapida sequenza prima di affondare nel loro repertorio, recuperando canzoni in cui la band si descrive così: “we were miserable and nasty people”. E via di risate e applausi. E musica, soprattutto, con i Tunng che sparano in sequenza micidiale l’incalzante “The Roadside”, i loro classici “Tale From Black” e soprattutto “Bullets”, una abbagliante e tropicale “So Far From Here”, che si scioglie in “Bricks”, per poi ripartire a stretto giro con la multicolour “The Village” con cui sfogano tutto il loro animo pop, recuperano poi in delicatezza con “Embers” e in particolare “With Whiskey”. Il tripudio avviene con la trascinante “By Dusk They Were In The City”, squarciata da un solo chitarristico travolgente, vertice emozionale della serata come dimostrano gli applausi mai così prolungati del pubblico. Il concerto si chiude con la bellissima (e loro classico) “Jenny Again” e con un bis composta dalla piacevolmente frivola “Hustle” e la conclusiva “Woodcat”.

Sfilano poi tra applausi e sorrisi larghi così e s’infilano direttamente nel cortiletto interno a fumare come ciminiere, tra le pacche sulle spalle e i ringraziamenti del pubblico più entusiasta e disinibito, cui loro si lasciano andare volentieri col visibile imbarazzo della felicità di chi sa di aver portato egregiamente a termine il piano della serata e si diverte a suonare e non con le pose da artisti consumati che invero potrebbero cominciare a permettersi. Ma loro sembrano fatti davvero così e questo influisce positivamente nel giudizio finale della serata, calibrato su un mood intenso ma anche sereno, disteso e ironico, col risultato apprezzabilissimo di un concerto di cui continuare a sorridere negli anni.

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