Tornano con una nuova etichetta ed un nuovo disco i paladini dello stoner californiano che, insieme a Kyuss e Monster Magnet, hanno posto le basi di un genere musicale all’inizio degli anni novanta, che ha poi visto crescere i suoi adepti negli anni.
Si tratta dell’undicesimo album in studio della loro più che ventennale carriera e le coordinate musicali rimangono sostanzialmente invariate; ci sono gruppi che cercano nuove sonorità, soluzioni differenti o che provano nuove strade…non è il caso del gruppo di Scott Hill e soci che ci ripropone il solito sound energico ed immediato, sporco e pieno di chitarroni, fuzz, aperture lisergiche e testi disimpegnati.
Potrebbe sembrare una critica ma non vuole esserlo, ogni tanto è bello avere delle certezze e sinceramente i Fu Manchu sono una di quelle a livello musicale, perché, nonostante la formula sia ampiamente collaudata e sentita, il disco scorre decisamente fluido e si ascolta tutto di un fiato senza cadute di tono. L’apripista “Dimension Shifter” inizia tirata per poi virare su territori alla Black Sabbath ai quali i californiani devono tanto, mentre la seguente “Invaders on my back” è un classico loro pezzo in 4/4 con stop’n’go, che richiama le loro radici hc, così come “No warning” e “Triplanetary” sono dei veri e propri schiaffi in faccia. Con “Anxiety Reducer” ed “Evolution Machine” si ritorna dalle parti del gruppo di Birmingham. La conclusiva “The Last Question” è forse l’unico brano che si discosta un po’ dalle altre tracce, se non altro per gli otto minuti con finale psichedelico e desertico.
In sostanza un disco che ha il pregio di avere un gran tiro dall’inizio alla fine, ma che non aggiunge niente alla notevole e degna di nota discografia dei Fu Manchu.
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