Impatto Sonoro
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Intervista ai GAZEBO PENGUINS

Quattro chiacchiere estemporanee con i Gazebo Penguins.

Come molti, nel lontano 2004, siete partiti da un garage di Correggio, come nasce il progetto Gazebo Penguins?
CAPRA: Siamo partiti da una stalla in realtà. Una stalla rimessa a posto, che prima di noi avrà ospitato 6-9 vacche al massimo, e in cui, come noi, poi tanti altri gruppi di Correggio hanno iniziato a fare le prove. E che col tempo è diventato anche un posto in cui abbiamo preso il vizio di organizzare concerti e festival, a partire dal novembre del 2006. E alla fine, finché il terremoto non ce l’ha portata via, ci sono passati circa 60 gruppi da tutta Italia ed Europa. Un po’ di tempo fa mi ero preso la briga di riepilogare tutti quelli che sono passati dall’iGloo (così l’avevamo chiamato) e il risultato è questo:

Afraid!
Agatha
Altro
Amavo
Andrea Rottin
Buzz Aldrin
Crash of Rhinos
Cusack
Damien
Die stadt Der Romantische punk
Drink to me
Fine Before You Came
Gazebo Penguins
Giardini di Mirò
Giancarlo Frigeri
God Own Moses
Hell Demonio
Irma Vep
Julie’s Haircut
Kelvin
Laser Geyser
Le luci della centrale elettrica
Like a shadow
Laser Geyser
Lucertulas
M?
Michele Bomba Atomica
Modotti
Monsieur Gustavo Biscotti
Musica da cucina
My Awesome Mixtape
Nicker Hill Orchestra
Nuccini!
Nurse nurse nurse
Ornaments
Pilar Ternera
Pillow
Rituals
Rue de Van Gogh
Settlefish
Sex offender seek salvation
Simplemen think
Sugartown cabaret
The calorifer is very hot
The death of Anna Karina
The tunas
Three in one gentleman suit
Thunder Bomber
Valerian Swing
Walther goes stranger
Zoe Lea

A scorgere l’elenco ci si accorge, per chi ha un po’ di dimestichezza con questi nomi, che almeno la metà di questi gruppi non c’è più.
I motivi sono tutti diversi, c’è chi è finito in altre band, chi ha smesso di suonare, chi se n’è andato dall’Italia, chi ha litigato coi propri amici, e chi ha pensato che non valesse più la pena. Noi siamo nati da quella stalla sulla strada che da Correggio va a Campagnola, e quando quella stalla non era più a nostra disposizione ci siamo spostati in un’altra cascina di campagna, dove Sollo ha messo in piedi assieme ad altri l’Igloo Audio Factory. Son passati dieci anni, e ancora pensiamo che suonare valga la pena, qualsiasi essa sia.

Nel 2009 uscite con il vostro primo album, “The name is not the named”, è ingenuo ma potente e d’assalto come ogni vostro lavoro, ma poco conosciuto! La “colpa” di questo potrebbe essere l’inglese? In ogni caso perchè siete passati dall’inglese all’italiano?
CAPRA: Il fatto che il primo disco di una piccola band di provincia non sia molto conosciuto non credo desti particolare stupore. Né credo che attribuire “colpe” alla lingua possa essere sensato al proposito. Avevamo quelle canzoni, che facevamo alle prove e ai pochi concerti che riuscivamo a tirare fuori con sommo sbattimento, e quelle sono finite nel nostro primo disco. Poi ne abbiamo fatte altre, e queste altre canzoni erano diverse, le cantavamo sempre un po’ a caso alle prove, senza una lingua ben precisa, a metà tra l’italiano e l’inglese. E quando giunse il momento di registrare, eravamo ancora lì, in bilico tra l’italiano e l’inglese. C’era il 50% di possibilità di farle in inglese e il 50% di possibilità di farle in italiano. Abbiamo scelto il 50%.

“Legna”, disco che personalmente ho consumato, è fottutamente nostalgico, ed è anche quello grazie al quale siete venuti alla luce, cosa ha fatto funzionare così bene l’album secondo voi e perchè ha avuto così effetto sulla generazione che vive questi anni 10?
CAPRA: Perché un album funzioni è un mistero tale e quale al perché certe serate sono imballate di gente e altre no. Non lo capisci mai fino in fondo. Evidentemente quando è uscito c’erano tante persone che avevano voglia di ascoltare delle canzoni così, che si ritrovavano in quello che cantavamo e in come suonavamo. “Ci si affeziona”. Metti accanto certe canzoni a dei momenti della tua vita, non lo fai coscientemente, succede, succede che una canzone è il confine perfetto di un periodo, una sorta di riassunto, e bastano i primi 10 secondi per riportare alla superficie tutta una successione di volti, di pomeriggi, di viaggi, di scazzi, di pranzi e cose rotte che nemmeno pensavi di ricordare così bene e avere ancora a tua disposizione. È capitato che questo lavoro l’abbiano fatto alcune nostre canzoni, e tanto è bastato.

“Raudo” lo definirei il figlio maturo di “Legna”, quindi avete ingranato una marcia che non avete intenzione di abbandonare o il prossimo disco stravolgerà questo filo conduttore?
CAPRA: Il prossimo disco ancora non esiste. E comincerà a prendere forma quando ci rimetteremo a fare le prove. Perciò non ne sappiamo nulla. E questa cosa è molto bella al momento.

Ogni vostro lavoro è in free download, su youtube, su spotify… indubbimente una scelta da lodare, quanto vi ha aiutato a farvi strada?
CAPRA: Il fatto di regalare la tua musica ha tante diramazioni. Una, sicuramente, è quella che dici tu: renderla più accessibile. E quando è più accessibile è più facile ascoltarla, e magari infottarsi e farla diventare la colonna sonora di un certo periodo. Ma regalare la propria musica è anche un gesto che mette in moto una sorta di responsabilità, perché non sei mai neutro quando qualcuno ti regala qualcosa. E quindi si crea una relazione diversa da quella che scaturirebbe se quella musica tu l’avessi comprata, e in un certo senso meritata. La musica regalata è sempre a credito – nel momento in cui decidi che ti piace. E questo scambio è in un’unica direzione fintantoché chi l’ha ricevuta non decide di far tornare al mittente qualcosa. Così si mette in moto qualcosa di abbastanza anomalo in un contesto per tanti versi molto economico come quello musicale. Si mette in moto una relazione.

Vi ho visti live, e mi piace moltissimo il modo che avete di approcciarvi con il pubblico, tra pogo e stage diving, avete fatto un tour che ha percorso tutta Italia anche l’ultima data di Raudo tour sarà energica come la prima oppure la fatica si inizia a far sentire?
CAPRA: La prossima data che faremo sarà la 90esima in poco più di un anno di tour. Ma la fatica non è ancora tra i primi pensieri quando sarà il momento di prendersi su, caricare il furgone e mettersi in autostrada. Non è detto che non arrivi. Capitano date in cui sei più stanco, e ci mancherebbe. Capitano anche date, magari che vengono dopo altre 4 consecutive, in cui temi di poter dare meno, non essere al pieno della forma, e poi ne viene fuori un concerto della madonna. Non ce lo spiega bene. Certo è che quando chi hai davanti ha voglia di fare la malora, la carica che passa è capace di battere ogni tipo di stanchezza. E speriamo sia così fino alla fine del tour.

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