Un esordio col botto datato 2005 (“The Documentary”), un paio di solide uscite come “Doctor’s Advocate”. Non un liricista eccelso ma un ottimo rapper supportato sempre da produzioni stratosferiche in grado di rompere il cemento. Ma nonostante il background questa volta non si ottengono i crediti sufficienti. Sarà per i frivoli beef che accecano i fan o per l’ossessione nel non far cadere il suo nome? Forse. Ma è doveroso partire da queste premesse per raccontare il sesto album “Year Of The Wolf”.
Nel primo singolo e brano d’apertura “Bigger Than Me” Game afferra la motosega, battezza se stesso “black Marshall Mathers” e massacra liricamente la generazione di rookie rappers: “Tampon lyricists, evacuate the premises/Mute BET Cyphers, cause I don’t wanna hear that sh*t”. Il resto dell’album è come la torta di frutta di tua zia: molto difficile da ingoiare. Sono solo tre i brani solisti, mentre le altre tracce sono impantanate con ogni rapper immaginabile. A volte i risultati vanno bene: “Really” è una posse cut con Game chiaramente al top, “Cellphone” non è male grazie soprattutto alla produzione targata The MeKanics.
Il resto? In “Fuck Yo Feelings” Lil Wayne offre un pigro e irritante ritornello, “Married to the Game” ha incomprensibili punchlines come “If gay is happy I’m Tyler Perry in this motherf***er” e c’è l’abbondanza di brani imbarazzanti come “Or Nah” e “Best Head Ever”.
Nelle poche tracce soliste le cose vanno molto meglio. La minacciosa “F.U.N.” suona come un qualcosa saltato fuori da un vecchio mixtape G-Unit e “The Purge” è una grande concept track: “Purge Sandusky, purge Zimmerman…Long as I got two hands, long as I got two feet, millions in my crew deep, we purge”.
“Year Of The Wolf” suona come un mixtape ed è seriamente difficile amarlo.
Rimandiamo l’alunno all’uscita di “The Documentary 2” l’anno prossimo.
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