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Sondre Lerche – Please

2014 - Mona / Yep Roc
pop / indie

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Tracklist

1. Bad Law
2. Crickets
3. Legends
4. At Times We Live Alone
5. Sentimentalist
6. Lucifer
7. After The Exorcism
8. At A Loss For Words
9. Lucky Guy
10. Logging off

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Sondre Lerche, fin da quando lo vidi per la prima volta che schitarreggiava timidamente nel video di Sleep on Needles, è uno di quegli artisti che ha sempre avuto il mio totale rispetto, senza mai riuscire a coinvolgermi emotivamente. C’era riuscito, parzialmente, col suo ultimo lavoro Sondre qualche anno fa, poi l’avevo colpevolmente dimenticato.

Il 2014 ce lo riporta in una veste inedita: mai stato uno particolarmente chiaro con i propri sentimenti, Please dipinge un Sondre tutto cuore e poco cervello. Laddove precedentemente vi era un freddo schema di canzone complessa e raffinata a là Two Way Monologue, adesso c’è malinconia e quasi improvvisazione.
Sempre ottimista e col sorriso sul volto, il norvegese esce da un divorzio tempestoso che lo ispira e lo condiziona totalmente fin dalle prime note. Chiariamoci, il suo stile pop/rock elegantemente jazzato è (quasi) sempre il medesimo, eppure ogni canzone è dolorosamente percorsa da una vena di follia e rabbia malamente repressa.
Bad Law inizia raccontando del nostro che se ne va allegramente in galera per aver reagito a una provocazione della sua lei, alternando tra chitarrette melodiche, ripartenze distorte tremendamente spastiche e un ritornello che vi si attacca subito in testa. La voce di Lerche è incontrollata, a tratti quasi rotta, con un tono rassegnato e quasi sardonico.
E’ proprio la produzione di Please a portare la maggior inquietudine nell’ascoltatore, le mille voci che si sovrappongono nella rassegnata Crickets mentre Sondre si raccomanda “say it to yourself in a different voice than yours, can’t overcome our fall”. L’amara introspezione della delicata Sentimentalist da leggiadra canzone sui propri fallimenti, con una parte strumentale e coretto che sembra venire dai Camaleonti anni ‘60, a rovinosa involuzione noise, “don’t I know you my love? You can ask me again, how the hell should I know?”.
At Times We Live Alone trova Sondre quasi urlare contro un muro che gli fa da eco, non trovando alcuna risposta che se stesso, rimuginando sui tentativi di riappacificamento di una coppia. Try “I love you”, try “get angry”, try “go fuck off” “call a friend”. Qualsiasi cosa, pur di sopravvivere.
Con Lucifer, la parte più oscura del norvegese viene fuori, sempre mascherata da melodie graziosissime e un andamento bossanova, anche qui i rimbalzi della sua voce sono fin troppo ovvi e fungono quasi da controcanto. Il finale è riservato a Logging Off, che conclude con una nota sobria e un lungo assolo di sassofono abbastanza straniante, decisamente perfetto per tirare le somme.

Please, insomma, maschera risentimento, rassegnazione e rabbia grazie ad abili costumi poppeggianti, come se Sondre volesse realizzare la propria versione musicale di Shining (FACCIA FALSA!! FACCIA FALSA!!), vi basti sentire le pulsanti vene industriali che percorrono l’orecchiabilissima After the Exorcism. E, ironicamente, a differenza di lavori direttamente aggressivi o malinconici sull’argomento divorzio/fine dei rapporti, il cuore malandato del norvegese è ancor più facilmente percepibile, così  nascosto.
Conseguentemente, rimanere impassibili e godersi le canzoni non è possibile. D’altronde perché dovreste? Questo è il miglior lavoro che Sondre abbia mai rilasciato nella sua pur ottima carriera, trasformare il negativo in positivo è obiettivo solo per i migliori artisti.

 

[youtube]https://www.youtube.com/watch?v=TBSy4L4Zm2A[/youtube]

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