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Interviste

Intervista ai WE ARE NOT AFRAID

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In vista dell’uscita del loro nuovo album “Holes” (che esce domani, 19 novembre, su Irma Records) e reduci da un intenso tour europeo, abbiamo scambiato 4 chiacchiere con il duo elettronico We Are Not Afraid.

Raccontateci la vostra storia: come sono nati i WANA?
ELIA: Ho fondato il gruppo nel 2011 assieme ad un altro ragazzo ora emigrato a Bristol. Inizialmente era partito con un taglio tra il post rock e l’elettronico ma ben presto il tutto ha preso una piega molto più danzante
EMANUELE: Io entro invece nella band a fine 2012, portando l’approccio live più rudimentale e fisico della batteria acustica. Con la dipartita del terzo Wana abbiamo concentrato gli sforzi più sul sound design e poi sulla veemenza dei concerti, integrando anche nuovi strumenti con il risultato, particolarmente gradito in questi anni di maggior diffusione dell’elettronica, di trascinare l’ascoltatore sulla pista e non permettergli di stare fermo. I We Are Not Afraid sono contro l’immobilismo ai concerti. Ballare e non cantare, muovere la testa e non pensare.

L’elettronica ha uno spazio abbastanza ristretto in Italia: che ne pensate?
ELIA: Sono d’accordo se per spazio parliamo di spazio “fisico”, nel senso che l’elettronica può richiedere degli spazi con esigenze di tipo tecnico (impianto, luci) diversi da quelli improntati su altri generi. Se parliamo invece di spazio inteso come visibilità allora ha sempre più posto tra gli ascolti di molte persone che pure vengono da altri generi
EMANUELE: Io ritengo che l’elettronica abbia già da un paio di anni iniziato a rosicare parecchio spazio al rock, che sta di fatto diminuendo percentualmente nella programmazione dei locali e dei festival. Chiudere una rassegna con un dj o una band che fa ballare è diventato molto più frequente e penso anche alle nostre recenti esperienze come il Rock and Rodes di Sondrio, tempio del rock fin dal nome ma che ha osato fare la scelta vincente di chiudere il festival con dell’elettronica.
Quello che manca in Italia non è lo spazio per l’elettronica ma la cultura del clubbing, andare in un locale per sfogarsi, sudare, ballare, conoscere gente. Da noi si va ai locali a cantare i testi in italiano o si spendono 60 euro per il beniamino d’Oltremanica, mentre sono decenni che a Berlino o a Londra ci sono posti dove la techno e la dub sono il modo migliore per socializzare e sfogare lo stress di una giornata di studio o di lavoro. Inoltre, da noi c’è la paura per le regole troppo ferree a cui bisogna sottostare, con uno stato che è di fatto nemico di chi ha voglia di svagarsi. Queste cose dovrebbero cambiare ma nonostante il clima quasi bellicoso che si è instaurato tra istituzioni e giovani, tra organizzatori di concerti e politica, si riesce comunque a trovare modo di esprimere questa forma d’arte che è a tutti gli effetti il futuro del producing.

Qual è il vostro percorso creativo?
ELIA: Ho fatto studi di pianoforte classico e di musica elettronica al conservatorio, poi ho passato sempre più notti insonni al pc e tra vari synth per capire come ottenere “quel” sound
EMANUELE: Diciamo che ci piace far vibrare i sub e far capire alla gente che con un impianto indecente non si può ascoltare musica.

Cosa è cambiato musicalmente nei WANA rispetto al vostro ultimo lavoro e cosa invece no?
ELIA: La cosa che è rimasta è l’impatto decisamente duro del sound: bassi molto potenti e synth che tagliano. E’ cambiata la struttura di molti brani e sono state utilizzate per la prima volta voci registrate in studio, mentre prima i pezzi erano tutti strumentali.
EMANUELE: Le ultime produzioni vertevano principalmente verso sonorità dubstep, synth-pop, con influenze anche anni ottanta. La scelta di utilizzare linguaggi più techno, grime e talvolta drum’n’bass rispondono prima di tutto alla nostra esigenza di irruenza mentre dall’altro lato il pubblico ha più modo di ballare, seguendo la cassa dritta scandita dallo strano mix di batteria acustica ed elettronica. Sicuramente c’è anche una certa ricerca a livello di sound design all’interno di terreni bass music più moderni, con influenze francesi e tedesche.

Raccontateci il vostro nuovo lavoro in tre parole e motivatele.
ELIA: Grandi Buchi Neri
EMANUELE: Io utilizzerei un termine di cui abbiamo abusato in passato, ovvero “disagio”. Il disagio, secondo il dizionario italiano, è una condizione “sgradevole”, ma in realtà può anche essere l’opposto. Le persone vivono la propria giornata seguendo dei canoni estetici ed etici che la società impone loro, mentre all’interno di un club o di un festival c’è la possibilità di uscire dagli schemi e fare un po’ quello che più piace. L’intento della nostra musica, in particolare nel nuovo lavoro HOLES, è di trascinare il pubblico in un’onda di bass music liberatoria.

Un tour nell’Est europa: com’è andato?
ELIA: Esperienza interessantissima che presto ripeteremo. Ci auspichiamo di andare anche in Francia, terreno fertile per l’elettronica che non abbiamo ancora toccato. A me ha colpito principalmente vedere come è stata recepita la nostra musica: gente entusiasta, meno smaliziata su questo tipo di live ed estremamente partecipe.
EMANUELE: L’Est Europa ha una percezione ancora immacolata dell’elettronica. La si considera una novità, un territorio inesplorato con confini ancora da tracciare e da elaborare. Noi ci siamo trovati molto bene anche perché la gente ha mediamente più voglia di divertirsi che in Italia, sfruttando i pochi spazi a disposizione per produrre e vivere eventi di qualità. E’ assurdo che noi concepiamo paesi come la Lituania e la Lettonia come terreni di povertà e poca produttività in ambito artistico mentre in realtà possiedono una club culture modernissima. Chi organizza ha una formazione musicale notevole, con attrezzature che ci sogniamo e direzioni artistiche di estrema qualità. Milano non ha nulla in più di Riga, Tartu o Vilnius, questo è poco ma sicuro.

Raccontateci un aneddoto
ELIA: Quando abbiamo fatto il tour europeo ho deciso di guidare solo io per 5000 km come sfida. Avevo allucinazioni di vario tipo. Consiglio a tutti il nord della Polonia in autostrada cioè: boschi per sempre
EMANUELE: Rimanendo sul tour europeo, abbiamo suonato a Valka, sul confine tra Lettonia ed Estonia. Qui club non ce ne sono, essendo una zona principalmente forestale e senza metropoli vicine. Di conseguenza, la gente non ha neppure la possibilità di vedersi i grossi nomi del panorama europeo e non aspetta altro che una valvola di sfogo. Qui, dei ragazzi particolarmente volenterosi hanno pensato bene di occupare una stanza all’interno di un ospedale abbandonato fuori dal centro, dove i giovani del luogo sanno che nel weekend vengono proposte band interessanti anche provenienti da lontano. I mezzi sono pochi, ma qui ci si diverte e senza poche storie. Stanzino bianco, batteria a disposizione di tutti, due casse, due sub, pellicole assurde proiettate alle spalle della band e serve poco altro per iniziare a liberare un po’ di energie e ballare. Credo che il film che davano durante il nostro live alle mie spalle si chiamasse Cocaine Wars, film argentino anni ottanta di un trash da paura.

Quali differenze avete notato tra il pubblico italiano e quello incontrato nelle date estere.
ELIA: La differenza principale sta nella partecipazione al live e nell’interesse per l’acquisto di cd e gadget post concerto: tutti ne vogliono!
EMANUELE: Io ho già risposto. Riassumendo: sanno come divertirsi. In Italia capita raramente, principalmente lo fanno d’estate. Il termine “rave” fa paura mentre a Berlino è dentro il nome di parecchi festival open air.

In cosa siete impegnati attualmente?
ELIA: Mixtapes / djsets / remix / feat interessanti con artisti altrettanto interessanti / numerosi live in giro per il mondo
EMANUELE: Le novità saranno numerosissime. Il nuovo disco Holes uscirà il 19 Novembre per Irma Records ma non sarà l’unica uscita discografica e probabilmente non sarà l’unica etichetta con cui lavoreremo nei prossimi 18 mesi. Dare il nome delle altre non ci è ancora consentito, ma in realtà le scoprirete molto presto. Il disco sarà accompagnato da un tour organizzato da Ocarina Booking dove oltre al lato musicale il pubblico potrà apprezzare la componente visuale, realizzata da alcuni artisti parigini. Anche il merchandising è in via di preparazione, ed oltre alla copia fisica (CD e vinile), ci saranno anche dei capi d’abbigliamento che stiamo studiando per corredare in maniera coerente tutto ciò che i We Are Not Afraid stanno producendo da un po’. Non mancheranno remix che noi faremo ad altri, remix che altri faranno a noi, mixtapes, massicce campagne online e ovviamente il videoclip del primo singolo, Desholenation, girato dal regista agrigentino residente a Ferrara Fabrizio Oggiano insieme ad una crew di breakdancers e ballerini hip-hop di Bondeno. Dal 15/10 è online sul nostro YouTube.

[youtube]https://www.youtube.com/watch?v=PuBy8nZYMUc[/youtube]

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