Molti dicono che per apprezzare i Ronin serva sapere da dove vengono, cos’hanno inciso prima. Palle, per farsi rapire da Adagio Furioso tutto quello che serve è un orecchio, al resto ci pensano loro.
Ronin è un progetto di Bruno Dorella (non solo suo, certo, ma nel tempo lui rimane l’ancora ferma del gruppo) che qui suona la chitarra e si perde in tutte le atmosfere ricreabili. Suona pure nei Bachi da Pietra e negli Ovo (consigliatissimi entrambi), la batteria però, e ascoltandoli viene facile capire perché avesse bisogno di un disco come questo, che aleggia pesantissimo scivolando su tutto.
Partenza da 8 minuti, La Cinese, calmi, ci si guarda intorno e si comincia a sognare (Adagio). Il Furioso arriva in tutto il disco, con il culmine negli ultimi due minuti di Ex. In mezzo chitarre che possono fare qualsiasi cosa e batteria che sa perfettamente quando prendersi il palco e quando farsi da parte, accompagnate da un moltitudine di collaborazioni italiane immense che danno tocchi di perfezione qui e là. Come la voce di Far Out (Francesca Amati, che non è nemmeno l’unica ad aiutare nel pezzo), giro di boa del disco, che a spiegarlo a parole di fa davvero fatica.
Da abbandonarsi e lasciarsi trascinare dove vogliono loro, che la strada ormai la conoscono alla perfezione, per un viaggio che solo la musica, questa musica, sa garantire. Gilgamesh e Preacher Man sono su un altro livello, quando riuscirò a smettere di ascoltarle cercherò di darne un giudizio completo, per ora lascio che scorrano dove vogliono e mi spingano dove spesso non ricordo di saper arrivare.
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