Un album più double che Ghost face: un lato elegante, domestico, parquet + camino acceso con sonorità r’n’b e parti cantate coinvolgenti ed orecchiabili; un altro decisamente più scomodo e stradaiolo, con i beat che si fanno più semplici, diretti e spigolosi.
Il buon Killah torna ad un annetto di distanza da quel bel prodotto che è stato “Twelve Reasons to Die” e si ripresenta ispirato e scaltro ai massimi livelli, abile nel lasciare spazio ad atmosfere classic, stilose e sostanzialmente & sfacciatamente pop, quanto pure ad ambientazioni 100% hip hop, contrapposizione che dona all’album una tanto piacevole quanto marcata alternanza.
“36 Seasons” gira quindi con facilità e su buoni livelli di libido dall’inizio alla fine, con le varie produzioni che non fanno rimpiangere il lavorone fatto da Adrian Younge nel precedente lavoro, ma che anzi si muovono con agilità e perizia all’interno di una notevolmente ampia gamma di sonorità.
Bene dunque l’alternanza e l’eterogeneità sonora quale principale tratto distintivo del progetto. Ma bene soprattutto quando la forma soccombe alla sostanza, quando si inspira smog e non deodoranti automatici da interni, quando si odono le sirene e non il delicato scricchiolio del parquet. “Loyalty”, “The dogs of war”, “Double cross”, “Homicide”, “Call my name” (ah, cosa sarebbe stato un simil pezzo con il contributo di B-Real!), “Emergency Procedure” e “Blood In The Streets” suonano esattamente così e meritano quindi l’ascolto in loop, con cuffie belle aderenti ed un volume altamente pericoloso.
Concludendo, un discone che gratifica per due motivi: il primo ed immediato è che “36 seasons” è un gran bell’album. La seconda buona novella è che Ghostface Killah gode di uno stato di salute artistica eccellente, al contrario, ahinoi, (ascoltare l’ultimo lavoro per credere..) del collettivo da cui tutto ebbe inizio, the Wu-Tang Clan….
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