Depravazione, odio, disperazione, amore, tumulto, devozione e dissezione dell’Es. La voce di Eugene S. Robinson evoca e claudica, è magniloquenza e minimalismo, fa male, cura e prega. Gli Zu l’accolgono nelle trame anomale di qualcosa che mai è stato così distante da ciò che sono loro (arrembaggio, furia, distorsione).
Qui c’è un labirinto totalizzante. “The Left Hand Path” è un cammino distante da tutto ciò che c’è e ci sarà. Lontano dal grind, lontano dal post, lontano da Oxbow e da Xiu Xiu e dagli Zu stessi.
Lontano perso in luoghi non comuni, un cammino fatto di distacco e reminiscenze, un esperimento, come non capitava di sentirne da tempo dalle mani dei due romani (qui già manca Battaglia e ancora non è approdato Serbian). Si tratta di un gioco di silenzi ed atmosfere al di là del normale, dunque non ci si aspetti distruzioni bassistiche e assalti baritonali, ma orrorifiche sembianze del mostro a quattro corde accompagnati da pianti e lacerazioni vocali (“In The Corner. Of The Corner Apartment” trasuda terrore puro così come la disturbante “6 O’clock” che diventa preghiera ed invocazione), metallurgie impresse nel vuoto (“Waiter Waited” apre una porta sinora chiusa a Zu ma apertissima a e da Pupillo) e ancora muta la sua forma e da spazio a blues primitivi che escono dal fango del Delta dello Stige (“Taking The Give” è proprio ciò che non t’aspetteresti ma anche l’elettricità semiacustica di “We’re All Friends”), così come l’arrivo di un essere lirico sotto forma di violoncelli con la sola voce a fare da fondale mortifero (la deviante “Land Lord” e la magniloquente e caveiana “Near To Sleep”) fino a rendere tutto troppo, eccessivo, estremo nel proprio non esserlo affatto.
Nel creare un disco di silenzi si è creato, dunque, un rumore ben più acuto di qualsiasi sfuriata grind da qui a venire, senza dar giudizi troppo affrettati, vorrei che accadesse ancora più questo di quello. Ma è tutto un susseguirsi di differenze. E non ritorni.
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